Gimbe chiede al Governo di espungere la sanità dalle richieste di autonomia differenziata
E’ approdato il 2 febbraio in Consiglio dei Ministri la nuova bozza del DdL Calderoli per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. «Un testo – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che al momento “blinda” l’autonomia differenziata come un affaire tra Governo e Regioni esautorando il Parlamento, non prevede risorse per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e consente il trasferimento delle autonomie alle Regioni prima senza recuperare i divari tra le varie aree del Paese». In dettaglio, secondo la bozza approdata al pre-Consiglio dei Ministri il 30 gennaio 2023:
Ambiti di autonomia. Il testo non entra nel merito delle motivazioni che portano le Regioni a richiedere maggiore autonomia sulle 23 materie.
Ruolo del Parlamento. Sulle intese definite tra il Ministro degli Affari Regionali e le Regioni al Parlamento è concesso solo di esprimere un parere non vincolante e un voto di ratifica senza possibilità di emendamenti. Le Camere non avranno alcun potere di intervento sulle disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle Regioni, né parteciperanno alla definizione dei LEP. Ovvero il ruolo del Parlamento è assolutamente marginale.
Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Saranno definiti attraverso DPCM da una apposita Commissione Tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al TAR, ma non davanti alla Corte Costituzionale. Formalmente dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini, ma restano orfani di risorse, fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro-Sud a quelle del Nord.
Trasferimento delle funzioni alle Regioni. Potrà essere effettuato già dopo la definizione dei LEP, senza attenderne l’attuazione, ovvero l’autonomia precede il recupero dei divari tra le varie aree del Paese.
La Fondazione GIMBE ha elaborato il report Il regionalismo differenziato in Sanità, per diffondere la consapevolezza politica e sociale che l’attuazione delle maggiori autonomie nella materia “tutela della salute” «darà il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – precisa Cartabellotta – aumenterà le diseguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute».
Il report GIMBE, ripercorre la “cronistoria” del regionalismo differenziato, analizza le criticità della bozza del DdL, valuta il potenziale impatto sul SSN delle autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, “fotografa” l’entità delle diseguaglianze regionali sull’adempimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e della mobilità sanitaria, formula alcune considerazioni conclusive e avanza precise richieste al Governo.
«Il report analizza esclusivamente le maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute – spiega il Presidente – anche se, secondo il principio Health in all policies e il recente approccio One Health, numerosi ambiti di maggiori autonomie hanno un potenziale impatto sulla salute pubblica». In particolare, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, tutela e sicurezza del lavoro, alimentazione, ordinamento sportivo; ma anche governo del territorio, grandi reti di trasporto e di navigazione e previdenza complementare e integrativa.
Dall’analisi delle richieste di maggiore autonomia avanzate da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto nell’ambito “tutela della salute” emergono alcune considerazioni generali, suffragate da quasi 2.000 stakeholder della sanità in occasione della survey promossa dalla Fondazione GIMBE:
L’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia rappresentano oggi strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario che andrebbero estesi a tutte le Regioni.
Alcune forme di autonomia rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del SSN aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi: sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario Regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia.
Altre istanze risultano francamente “eversive”. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale. Inoltre, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati.
«La richiesta di maggiori autonomie – continua Cartabellotta – viene proprio dalle Regioni che fanno registrare le migliori performance nazionali in sanità». Infatti, dalla “fotografia” sugli adempimenti al mantenimento dei LEA relative al decennio 2010-2019 emerge che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (1a), Veneto (3a) e Lombardia (5a), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche). Inoltre, l’analisi della mobilità sanitaria conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019, tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a € 14 miliardi. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+€ 6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+€ 3,35 miliardi), Toscana (+€ 1,34 miliardi), Veneto (+€ 1,14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a € 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-€ 2,94 miliardi), Calabria (-€ 2,71 miliardi), Lazio (-€ 2,19 miliardi), Sicilia (-€ 2 miliardi) e Puglia (-€ 1,84 miliardi).«Questi dati – continua Cartabellotta – confermano che nonostante la definizione dei LEA dal 2001, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità sanitaria in direzione Sud-Nord». Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le inaccettabili diseguaglianze registrate con la semplice competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute. «Il regionalismo differenziato in sanità – spiega il Presidente – finirà per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro in un momento storico in cui il Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale è proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali».
«Tenendo conto della grave crisi di sostenibilità del SSN e delle imponenti diseguaglianze regionali – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE invita il Governo a mettere da parte posizioni sbrigative e propone in prima istanza di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. In subordine, chiede che l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità venga gestita con estremo equilibrio, colmando innanzitutto il gap strutturale tra Nord e Sud del Paese, modificando i criteri di riparto del Fabbisogno Sanitario Nazionale e aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni. È indispensabile salvaguardare la capacità di redistribuzione del reddito senza compromettere l’esercizio dei diritti costituzionali fondamentali, in particolare il diritto alla tutela della salute: altrimenti, la sanità rischia di essere un bene pubblico per i residenti nelle Regioni più ricche e un bene di consumo per quelle più povere».
Il Report dell’Osservatorio GIMBE “Il Regionalismo differenziato in sanità” è disponibile a: www.gimbe.org/regionalismo-differenziato-report