«Buoni lavoro»: boom in Veneto In tre anni quasi 3,5 milioni

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L’Inps: è la regione che li usa di più. E Verona supera Treviso
Il debutto sperimentale nel 2006, nel Trevigiano, quando i «voucher» diventarono la moneta con cui si iniziò a pagare la composita folla di settembre che da sempre invade i vigneti. Maurizio Sacconi, allora sottosegretario, d’intesa con Inps, Inail e le altre parti interessate a far emergere le migliaia di lavoratori occasionali retribuiti in nero (e non di rado coinvolti in piccoli incidenti da vendemmia), usò la sua provincia per il test. Oggi se ne torna a parlare nell’ambito del dibattito sui «licenziamenti facili», perché una parte del sindacato, in testa la Cgil vi vede un rischio di eccessiva precarizzazione. Non è un caso se è Treviso, per numero complessivo di «buoni lavoro » venduti, a tirare la classifica del Veneto, la regione italiana dove se ne usano di più, dal 2008 a oggi. Degli oltre 3,345 milioni di tagliandi equivalenti da 10 euro (per un’ora di lavoro 7,5 vanno al lavoratore, il resto in contribuzione Inps, Inail e costi) usati in regione (quasi 24 milioni in Italia), 879 mila nella Marca, seguita a ruota da Verona (875.088).

A distanza Vicenza (538.096), Padova (435.820), San Donà (258.073), Venezia (162.596), Rovigo (138.120) e, in coda, Belluno (58.874). Quindi col pagamento di oltre 33 milioni di euro. Ma, nei primi 10 mesi del 2011, il sorpasso d’un soffio: Verona, sugli 1,4 milioni di ticket Inps venduti, ha superato Treviso, ripettivamente 301.578 a 301.114. A seguire Vicenza (275.265), Padova (223.149), San Donà (121.939), Venezia (79.024), Rovigo (74.401), Belluno (30.710). I comparti più interessati sono quelli per i quali i «voucher» sono stati concepiti. Restando ai primi dieci mesi 2011, il mondo agricolo ne assorbe quasi 900 mila, per oltre la metà destinati a prestatori d’opera stagionali. Tra l’uso fatto dalle imprese (quello maggioritario rispetto a privati e committenti pubblici), commercio, turismo e servizi ne mettono insieme 244 mila e 190 mila sono quelli sotto la voce «Manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli oppure lavori di emergenza o di solidarietà». Antonio Pone, oggi direttore regionale dell’Inps e, nel 2006, direttore a Treviso, ricorda gli esordi dello strumento e parla dei voucher come di «una storia di successo con molto di Veneto. Non mi sorprende il favore che hanno avuto quando, a partire dal 2008, sono diventati operativi sul territorio nazionale. Curai quella sperimentazione e ricordo la passione che ci coinvolgeva in quei giorni, tesa a fornire uno strumento facilmente gestibile, senza burocrazia e costi amministrativi inutili, ma mantenendo le garanzie per i lavoratori».

Un’invenzione nata attorno alla «legge Biagi che lasciava ampi spazi di manovra. «La legge ne tracciava la disciplina in poche righe – prosegue Pone – Tutto era da definire: modalità di comunicazione con gli enti, di vendita e rimborso ai lavoratori, trasferimento della contribuzione tra Inps e Inail, le caratteristiche fisiche dei "Buoni lavoro", i loro tagli. Mettemmo a punto tutto tra febbraio e marzo 2006». Dopo la crescita in ambito agricolo nei primi anni, i «buoni» in questo settore si sono stabilizzati. E il direttore Inps spiega come i «voucher» non abbiano sostituito altri rapporti di lavoro più garantiti, come temuto dai sindacati. «Il numero complessivo di giornate di lavoro degli operai agricoli con contratti a termine e a tempo indeterminato, fra il 2008 ed il 2010, rimane stabile nonostante la forte espansione dei voucher – conclude Pone – Ora i "buoni" si stanno espandendo in altri settori e siamo impegnati ad analizzare il fenomeno, assieme a sindacati e associazioni datoriali».

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