Crisi Italcementi, la Cna: rischio lavoro per le piccole imprese dell’indotto

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A rischiare non sono solo i dipendenti, ma anche decine di imprese dell’indotto che lavorano nell’autotrasporto, nella manutenzione e nelle cave. Con il risultato che centinaia di famiglie potrebbero perdere il proprio reddito. Esprime preoccupazione la Cna di Pescara, che rivolge un appello alle istituzioni locali ed alla Regione per la ricerca di una positiva soluzione, sulla crisi dello stabilimento Italcementi di Scafa, presidio la cui proprietà ha annunciato nei giorni scorsi la chiusura della struttura della Val Pescara. A detta del presidente della confederazione artigiana, Riccardo Colazilli, che chiede «senso di responsabilità al gruppo industriale», «l’allarme generato dalla perdita diretta di posti di lavoro rischia di far passare in secondo piano, agli occhi della pubblica opinione, il destino incerto che si apre per decine di piccole imprese che vivono, con le loro attività, proprio dell’indotto generato dall’Italcementi». «Secondo dati in nostro possesso – prosegue – ci sono almeno venti aziende di trasporto, riunite nel Consorzio di trasportatori artigiani, il “Cta”, che prima caricavano quotidianamente materiale nella fabbrica di Scafa, costrette già a dirigersi in provincia di Roma, a Colleferro, nell’altra struttura del gruppo, per caricare i propri mezzi. La distanza coperta tra Scafa e il Lazio, ovviamente, non viene riconosciuta nelle spese di trasporto; con il risultato di rendere l’attività diseconomica, e concreto il rischio di doversi trasferire o abbandonare l’attività».
Stesso discorso, a detta del presidente della Cna pescarese, riguarda le aziende impegnate nella manutenzione, che arrivano a impegnare, soprattutto nei periodi di fermo, anche decine e decine di dipendenti: altri posti, questi, messi a rischio dall’annunciata chiusura. E non è difficile immaginare che stessa sorte subiranno i dipendenti delle cave nelle quali l’Italcementi si è, sin qui, approvvigionata di materie prime. «In questo modo, e senza voler estendere il calcolo ad altre attività, come la ristorazione o il commercio – conclude Colazilli – è facile quantificare in centinaia le famiglie a rischio- reddito, in un momento così negativo per l’economia del nostro territorio».

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