Marche prima regione in Italia per occupati dovuti alla cultura

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Le Marche sono la prima regione italiana per incidenza dell’occupazione dovuta a cultura e creatività e sono la seconda regione del Paese per valore aggiunto del medesimo comparto. Pesaro e Urbino è seconda nella classifica delle migliori dieci province italiane per ricchezza prodotta dal sistema produttivo culturale. Bene anche Macerata: settima. Le Marche sono quindi ben rappresentate, con 2 province nelle prime 10, nella graduatoria di Fondazione Symbola e Uniocamere della ricchezza prodotta in Italia dalla cultura. La classifica è contenuta nello studio “Io sono cultura – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Marche e presentato oggi a Roma. L’unico studio in Italia che annualmente quantifica il peso della cultura nell’economia nazionale. Con risultati eloquenti: l’intera filiera culturale italiana ha mosso nel 2013 il 15,3% del valore aggiunto nazionale, equivalente a 214 miliardi di euro. Un dato comprensivo del valore prodotto dalle industrie culturali e creative, ma anche da quella parte dell’economia nazionale che viene attivata dalla cultura, il turismo innanzitutto. Le industrie culturali e creative si confermano un pilastro del made in Italy. Tanto che durante la crisi l’export legato a cultura e creatività è cresciuto del 35%. E così mentre la crisi imperversa e un pezzo consistente dell’economia nazionale fatica e arretra, il valore aggiunto prodotto dalle industrie culturali e creative tiene, fa da volano al resto dell’economia e cresce anche la capacità attrattiva del settore rispetto alle donazioni dei privati. Nonostante il calo generalizzato del complesso delle ‘sponsorizzazioni’ registrato negli ultimi anni, infatti, quelle destinate alla cultura sono cresciute tra il 2012 e il 2013 del 6,3% arrivando a quota 159 milioni.
Entrando nel dettaglio dello studio – una sorta di annuario, per numeri e storie, realizzato anche grazie al contributo di circa 40 personalità di punta nei diversi settori, alla partnership di Fondazione Fitzcarraldo e Si.Camera e con il patrocinio dei ministeri dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dello Sviluppo Economico – emerge che dalle 443.458 imprese del sistema produttivo culturale, che rappresentano il 7,3% delle imprese nazionali, arriva il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia: 74,9 miliardi di euro. Che arrivano ad 80 circa, equivalenti al 5,7% dell’economia nazionale, se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. Ma la forza della cultura va ben oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1,67 sul resto dell’economia: così per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,67 in altri settori. Gli 80 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 134. Cifre che complessivamente arrivano, come anticipato, alla soglia di 214 miliardi di euro. Una ricchezza che ha effetti positivi anche sul fronte occupazione: le sole imprese del sistema produttivo culturale – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico e architettonico, performing arts e arti visive – danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,8% del totale degli occupati in Italia. Che diventano 1,5 milioni, il 6,2% del totale, se includiamo anche le realtà del pubblico e del non profit.
“La cultura è la lente attraverso cui l’Italia deve guardare al futuro e costituisce il nostro vantaggio competitivo – commenta il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci -. E’ grazie alla creatività e alla cultura, che nel nostro Paese si incrocia con la qualità, l’innovazione e le nuove tecnologie, se le imprese sono state capaci di incorporare bellezza e valore nel made in Italy. Così, mentre tutti dicevano che il nostro manifatturiero sarebbe morto sotto i colpi della concorrenza cinese, le imprese italiane sono riuscite a presidiare la fascia alta del mercato e aumentare il valore aggiunto dei prodotti. E il grande successo di eventi come il Salone del Mobile o Vinitaly lo testimonia. Ecco perché una vetrina globale come Expo 2015, se vuole guardare al bene del Paese e offrire al mondo uno sguardo rivolto al futuro, dovrà dare voce alle esperienze più avanzate di questo settore: puntando più sulle idee che sul cemento. E l’Italia non deve sciupare neanche l’occasione offerta dal semestre di presidenza del consiglio Europeo per tornare a esercitare un ruolo guida nell’unione e per integrare pienamente le politiche culturali all’interno di quelle industriali e della competitività, riconoscerne e accompagnarne il ruolo da protagonista nella manifattura e nell’innovazione competitiva e non più soltanto della fruizione turistica”.
“Anche quest’anno, l’analisi condotta da Unioncamere e Symbola dimostra che la cultura è e deve continuare ad essere il miglior combustibile per la ripresa”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “I territori e le imprese, che di quelle tradizioni e di quella cultura sono espressione, rappresentano l’immagine del nostro Paese nel mondo intero: il nostro primo giacimento, capace di produrre ricchezza, lavoro e benessere per le comunità locali. Per ritrovare il suo spazio nel mondo, l’Italia deve perciò puntare sui suoi talenti, cogliere il potenziale delle nuove tecnologie per rilanciare i territori e il loro saper fare, investire sulla bellezza e sulla coesione che aiutano a competere, potenziare la ricerca per sostenere quella tensione innovativa che arricchisce di valore le nostre tradizioni produttive e le rende così un potente fattore competitivo”.

“L’idea che la cultura sia risposta alla crisi, leva di nuovo sviluppo, qualificazione del tessuto produttivo – spiega l’Assessore alla Cultura della Regione Marche Pietro Marcolini – è alla base della partnership che anche quest’anno si rinnova con la Fondazione Symbola e Unioncamere. Da questa collaborazione è nata la scelta delle Marche non solo come sede di una serie di iniziative ed attività, dal Festival della Soft Economy al Seminario estivo, ma anche come luogo dove presentare il Rapporto annuale. La nostra regione, grazie al percorso fatto in questi anni nell’innovazione delle politiche culturali e viste le conferme ricevute da diverse fonti di analisi, si pone come uno dei laboratori più in linea con l’intuizione di Symbola di ridefinire un settore produttivo fatto di cultura, creatività e manifattura culturale e d’individuarne le potenzialità di crescita. Il Rapporto di Symbola-Unioncamere si dimostra come uno studio originale e utile all’innovazione delle politiche culturali; esso fornisce una serie storico-statistica che consente una lettura ragionata dei sentieri di sviluppo intrapresi dai territori e del contributo che le industrie culturali e creative stanno apportando allo sforzo di uscire in forme nuove dalla crisi, in linea con le più avanzate esperienze europee e internazionali”.

“Il valore aggiunto culturale più alto è nelle regioni dove si è affermata una nuova manifattura, che è stata capace di incorporare più innovazione tecnologica orientata alla sostenibilità e alla green economy e più innovazione culturale – commenta il Segretario generale di Symbola, Fabio Renzi – come dimostra l’ottima performance delle Marche – seconde a livello nazionale sole dietro al Lazio che beneficia delle industrie creative e culturali della capitale – ma anche quella del Veneto e della Lombardia. Tre regioni nelle quali non a caso in questi anni è cresciuto sia l'export manifatturiero che quello culturale. Un terreno sul quale si giocherà il futuro delle Marche e che chiede scelte politiche ed economiche coerenti. Come il Distretto culturale evoluto che ha l’obiettivo di collegare il grande patrimonio culturale e paesaggistico di cui le Marche sono dotate, le produzioni di qualità sia manifatturiere che agroalimentari con l’innovazione digitale, la realtà virtuale, con le nuove tecnologie e le opportunità offerte dal web”.
Cultura, un comparto reattivo e innovativo che vola nell’export
Nonostante il clima recessivo – dovuto principalmente al crollo della domanda interna, che ha pesato, ovviamente, anche su questo settore – l’export legato a cultura e creatività continua ad andare forte. E durante la crisi è cresciuto del 35%: era di 30,7 miliardi nel 2009, è arrivato a 41,6 nel 2013, pari al 10,7% di tutte le vendite oltre confine delle nostre imprese. Il settore può vantare una bilancia commerciale sempre in attivo negli ultimi 22 anni, periodo durante il quale il valore dei beni esportati è più che triplicato. Il surplus commerciale con l’estero nel 2013 è di 25,7 miliardi di euro: secondo solo, nell’economia nazionale, alla filiera meccanica, e ben superiore, ad esempio, a quella metallurgica (10,3 miliardi).
La cultura piace anche ai privati: crescono le sponsorizzazioni
La maturità delle imprese culturali si misura anche dalla capacità di stare sul mercato, a prescindere dai fondi pubblici (fondamentali, ma sempre più scarsi). Proprio su questa frontiera il report di Symbola e Unioncamere segnala iniziative interessanti e promettenti. Come le sponsorizzazioni private: imprenditori illuminati, ma anche consapevoli delle ricadute sul loro brand, vestono i panni del mecenate e restituiscono alla loro bellezza beni come il Colosseo e la Scala di Milano, è il caso di Diego Della Valle, l’arco Etrusco di Perugia, grazie a Brunello Cucinelli, il Ponte di Rialto, il cui restauro è stato finanziato da Renzo Rosso, la Fontana di Trevi, grazie a Fendi. Una tendenza che sembra, fortunatamente, destinata a crescere. Nel complesso delle sponsorizzazioni private (1.200 milioni di euro nel 2013, tra sport, cultura e spettacolo e sociale) la cultura guadagna terreno: nonostante il calo costante del complesso delle donazioni registrato negli ultimi anni, il settore passa dai 150 milioni di euro del 2012 ai 159 del 2013: +6,3%. Si tratta del 13,3% delle sponsorizzazioni private del 2013, la quota più alta dell’ultimo triennio (era l’11,8% nel 2012, l’11,6% nel 2011). Tendenza che l’Art bonus appena approvato dal governo intercetta e tenta di rafforzare: sarebbe un importante cambio di passo per il nostro sistema culturale.
La cultura spinge il turismo
Uno dei maggiori beneficiari dell’effetto traino che la cultura ha sull’intera economia nazionale è il turismo. Il turista culturale che soggiorna in Italia, ad esempio, è più propenso a spendere: 52 euro al giorno per l’alloggio, in media, e 85 euro per spese extra, contro i 47 euro per alloggio e 75 per gli extra di chi viene per ragioni non culturali. Del totale della spesa dei turisti in Italia, 73 miliardi di euro nel 2013, il 36,5% (26,7 miliardi ) è legato proprio alle industrie culturali. E al richiamo della cultura, della bellezza e della qualità sono con ogni probabilità legate le ottime performance nazionali nel turismo. Se, infatti, leggiamo le statistiche in modo meno superficiale ci accorgiamo – come spiegano le ’10 verità sulla competitività italiana’ di Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison – che siamo il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue (con 54 milioni di notti). Siamo la meta preferita dei paesi ai quali è legato il futuro del turismo mondiale: la Cina, il Brasile, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, gli Usa e il Canada.
Le Marche. Questa regione ha puntato con decisione sulle industrie culturali e creative. Tanto da aver raggiunto il primo posto nella graduatoria delle regioni per incidenza dell’occupazione prodotta dal sistema produttivo culturale sul totale degli impiegati dell’economia regionale. E da essere al secondo posto nella classifica delle regioni che più producono ricchezza con la cultura e la creatività. Un risultato raggiunto grazie all’intreccio tra bellezza, cultura, innovazione, creatività e manifattura che ha saputo rilanciare il made in taly e restituire all’economia di questa Regione una prospettiva al di là della crisi. Nelle Marche dunque il valore aggiunto creato dal sistema produttivo culturale è il secondo più alto d’Italia: il 6,5% della ricchezza complessiva del sistema economico locale. In valore assoluto si tratta di oltre 2,3 miliardi di euro. Una cifra alla quale contribuiscono in modo preponderante le produzioni di stile, l’architettura, libri e stampa. Nell’insieme la cultura impiega 50 mila persone, il 7,1% del totale degli occupati dell’intera regione.
All’ottima performance della Regione contribuiscono soprattutto due province: Pesaro Urbino e Macerata che, come evidenziato in apertura, sono rispettivamente in terza e in settima posizione nella classifica delle province che più producono ricchezza con cultura e creatività. Nella provincia di Pesaro e Urbino, il valore aggiunto creato dalla cultura è il terzo più alto d’Italia: il 7,9% della ricchezza complessiva del sistema economico locale. In valore assoluto si tratta di 693 milioni di euro. E sempre la cultura impiega quasi 16 mila persone, il 9,1% del totale degli occupati dell’intera provincia. Una percentuale che porta questa provincia al secondo gradino del podio per incidenza di cultura e creatività sulla locale occupazione. Il contributo maggiore arriva della industrie creative (architettura, comunicazione e branding, design e produzione di stile, artigianato) con il 75% del valore aggiunto del settore. Le industrie culturali propriamente dette, invece, contribuiscono con circa il 22%, da performing arts e intrattenimento e patrimonio storico-artistico arriva insieme un contributo di circa il 3%.
Macerata, invece, è la settima provincia in classifica e produce il 7,3% della propria ricchezza complessiva grazie alle industrie culturali. In questo territorio la ricchezza prodotta dalla cultura arriva a 505 milioni di euro e il settore impiega 11.500 persone, ossia l’8% di tutti gli occupati del sistema economico locale. Anche qui a trainare il valore aggiunto delle industrie culturali sono le industrie creative con oltre il 64% del fatturato del settore. Alle industrie culturali propriamente dette si deve invece un sostanzioso contributo del 32% circa, fanalino di coda performing arts e intrattenimento e patrimonio storico artistico che insieme arrivano a circa il 4%.

Cosa si intende per cultura?
Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma nell’andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere). Al corpo centrale della ricerca, come anticipato, è stata inoltre affiancata anche un’indagine su tutta la filiera delle industrie culturali italiane, ovvero quei settori che non svolgono di per sé attività culturali, ma che sono altresì attivati dalla cultura. Una filiera articolata e diversificata, della quale fanno parte: attività formative, produzioni agricole tipiche, attività del commercio al dettaglio collegate alle produzioni dell’industria culturale, turismo, trasporti, attività edilizie, attività quali la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche.
I settori, i trend
Alla performance del comparto cultura, sia in termini di prodotto che di occupazione, contribuiscono soprattutto le industrie creative e le industrie culturali. Dalle industrie creative arriva infatti il 47% di valore aggiunto e il 53,2% degli occupati, un risultato raggiunto soprattutto grazie alla produzione di beni e servizi creative driven e all’architettura. Dalle industrie culturali arriva un altro consistente 46,4% di valore aggiunto e il 39% degli occupati (in questo caso i settori più pesanti sono libri e stampa e videogiochi e software). Decisamente più bassa la quota delle performing arts e arti visive per entrambi i valori (5,2% v.a. e 6,1% occupazione) e soprattutto per le attività private collegate al patrimonio storico-artistico (1,5% e 1,6%).

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