Automotive, problemi di approvvigionamento e troppi rincari nella componentistica

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La loro carenza sta determinando un preoccupante allungamento
delle tempistiche di consegna, con conseguente rallentamento dei flussi produttivi
e con evidenti rincari
Torino, 10 febbraio 2021 – La filiera produttiva automotive lancia un allarme sulle
difficoltà di approvvigionamento che, da inizio anno, sta avvertendo relativamente ai
materiali in acciaio, alle materie prime plastiche e ai microprocessori – elementi
essenziali, questi ultimi, delle componenti elettroniche dei veicoli.
Per acciaio e materie prime plastiche, dall’apertura del 2021 si rileva anche un forte
rincaro, che ha colpito, in particolare, nel primo caso prodotti piani e laminati, nel
secondo, ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene), PA6 (Poliammide 6), PA6.6 (Poliammide
66) e PP (Polipropilene).
In riferimento ai microprocessori, la carenza di offerta sul mercato ha già costretto
diversi produttori di autoveicoli e fornitori di primo livello al fermo produttivo di alcuni
stabilimenti in Europa. Laddove questa circostanza – perlopiù riconducibile al
ridimensionamento dei volumi produttivi di un’azienda leader del settore nel Far East –
dovesse prolungarsi, il rischio di un impatto negativo sulla filiera automotive europea in
termini occupazionali è molto alto e andrebbe a sommarsi alle criticità già in essere in
questa delicata fase di gestione della pandemia da Covid-19.
Sia per l’acciaio, che per le materie prime plastiche, pur trovandoci di fronte ad un
fenomeno che lo squilibrio tra domanda e offerta lasciava presagire già a fine 2020, a
preoccupare sono le proporzioni acquisite nelle ultime settimane, in cui la scarsa
disponibilità dei materiali in questione sta facendo pericolosamente allungare le
tempistiche di consegna, in alcuni casi addirittura triplicate, minacciando la capacità
delle aziende di soddisfare la domanda finale dei clienti, con conseguenti ritardi, e
rischiando di causare rilevanti perdite economiche.
Tra i fattori che si ipotizza possano essere alla base di questa tendenza, c’è
l’assorbimento di grossa parte delle disponibilità mondiali di materia prima da parte
della Cina, che si trova, in questo momento, a dover integrare le scorte prima dell’ormai
imminente chiusura per il Capodanno cinese. Sempre guardando al Far East, è probabile
che contribuisca a determinare questo problema anche l’attuale indisponibilità di
container, in numero insufficiente a causa di una ripresa del trade oltre le aspettative in
alcuni Paesi, in primis la Cina, e per la cancellazione, da parte degli operatori logistici,
degli ordini di nuove unità nella prima metà del 2020, il periodo dei lockdown.
In una congiuntura di per sé delicata come quella attuale, in graduale ripartenza dopo
l’annus horribilis 2020 e a pandemia ancora in corso, per di più in una fase storica di
profonda trasformazione del comparto automotive, quanto sta accadendo rappresenta
un’ulteriore difficoltà per la filiera.
Nel caso specifico del comparto produttivo europeo dell’acciaio, poi, si è assitito, tra
giugno 2020 e gennaio 2021, ad aumenti di prezzo di oltre 300 euro a tonnellata, con
previsioni che non sembrano in diminuzione. Dopo lo shock della crisi Covid, i maggiori
player dell’acciaio in UE hanno riavviato molto lentamente e in ritardo la produzione,
forse attendendo un trend più consolidato di recupero della domanda, con tempi di
consegna incompatibili con la programmazione dei maggiori settori utilizzatori, tra cui
l’automotive.
E’ fondamentale che, in riferimento al mercato siderurgico, si eviti con ogni possibile
mezzo il prolungamento delle misure di salvaguardia sulle importazioni di determinati
prodotti di acciaio in UE, introdotte nel 2018 in risposta ai dazi USA e in scadenza il 30
giugno 2021. Queste misure hanno introdotto, per 28 categorie di prodotti di acciaio,
aggregati in 3 famiglie (prodotti piani, prodotti lunghi e tubi), dei contingenti tariffari
per Paese di importazione e dei contingenti tariffari globali per trimestre, superati i
quali viene applicata un’aliquota del dazio supplementare pari al 25%.
Si tratta di misure comportano aggravi di costi non più giustificabili né economicamente
sostenibili per il tessuto produttivo nazionale. Considerando che la crisi socio-economica
innescata dalla pandemia ha sconvolto gli scenari macroeconomici globali e ha portato
una forte riduzione di consumi e produzioni a livello nazionale, infatti, sono del tutto
venute meno le condizioni che ne avevano determinato l’applicazione.

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