Il 70esimo anniversario dell’occupazione della miniera di zolfo di Cabernardi

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Non è stato un semplice tributo alla memoria di un grave momento storico, il 70esimo anniversario dell’occupazione della miniera di zolfo di Cabernardi ma una giornata particolare densa di ricordi sulla resilienza di una comunità che, ieri, ha dovuto affrontare un futuro denso di trasformazioni come oggi la nostra società è chiamata a farlo con la transizione economica e le sue conseguenze sul piano sociale.

Ragione per cui la giornata di sabato 28 maggio nel Parco archeominerario dello zolfo di Cabernardi a Sassoferrato è stata lo specchio sì per ricordare il sacrificio degli assenti con una splendida scultura realizzato dal fabbro Marco Cesandri ma più di tutto un invito ad usare la storia della “lotta dei sepolti vivi” per leggere meglio le nuove sfide. Come lo testimonia la mostra “Miniera, segni e parole. Storia di migrazione ed integrazione” dell’associazione “Cristalli nella Nebbia” sull’insediamento dei minatori marchigiani a Pontelagoscuro di Ferrara in corso nel sito museale.

«Queste celebrazioni – ha spiegato il sindaco di Sassoferrato Maurizio Greci – sono state fortemente volute dalla nostra amministrazione e dal Parco Nazionale dello zolfo di Marche e Romagna. Perché ci ricorda il tema della difesa del diritto e le risposte che dobbiamo trovare ai cambiamenti in corso con progetti attuati in parte con i fondi del Pnrr. In parte perché molto dipende dalle decisioni della politica, dalle intese tra enti pubblici, tra Comuni, dalla collaborazione con le aziende del territorio fondamentali per il benessere economico e sociale. E sono questi valori che il polo museale ci ricorda ma inquadrato dall’ente Parco diventa un asset su cui impostare nuove economie al centro del convegno il 2 luglio prossimo, secondo appuntamento celebrativo».

Una chiave di lettura davvero condivisa essendo proprio la transizione sociale in atto, il focus dell’intervento di Pierpaolo Bombardieri, segretario nazionale dell’Uil, in presenza dei tre sindacalisti sul territorio Carlo Sabattini (Uil), Andrea Cocco (Cgil), Arrigo Berionni (Cgil). Sulla necessità di difendere i diritti dei lavoratori in un momento dove ci sono profondi cambiamenti, cogliendo le migliori opportunità al fine di garantire sicurezza ed un futuro che rispetti l’ambiente.

Per Rossella Accoto, Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali «La difesa del posto di lavoro è tuttora una realtà. Basti pensare a Elica, Caterpillar, Whirpool. I “sepolti vivi” erano lavoratori che ogni giorno rischiavano la propria vita per uno stipendio. E ne siamo molti distanti. Nella trasformazione del mondo del lavoro, lo stipendio è una delle motivazioni. Oggi il lavoratore ha bisogno di garanzie di sicurezza e di salute, benessere e soddisfazione personale, un insieme di richieste a cui la politica deve dare delle risposte».

Alla celebrazione sono intervenuti il presidente dell’Ente Parco Nazionale dello zolfo di Marche e Romagna Carlo Evangelisti, Iperide Ippoliti della segreteria nazionale Uil, il ricercatore Marco Labbate, il Prefetto Dacos Pellos, il Presidente della Provincia di Ancona Daniele Carnevali, il Senatore Sergio Romagnoli. In platea erano presenti la consigliere regionale Pd Manuela Borra, il presidente della Fondazione Carifac Denis Censi, il senatore Primo Galdelli e Marisa Abbondanzieri che hanno per primi sostenuto la creazione dell’ente, il sindaco di Pergola Simona Guidarelli e Cristina Carelli, consigliere del Comune di Arcevia.

L’orario estivo delle visite guidate del Parco archeo minerario è sabato alle 16.30 e alle 18. Domenica e festivi alle 11 – 16.30  – 18.  Agosto anche i giorni feriali 16.30 e 18.

La mostra fotografica “Miniera. Segni e parole. Storia di migrazione e integrazione”

racconta «una storia che va raccontata»

Tutte le informazioni sulla mostra

La mostra si trova all’interno dell’ex serbatoio di Nafta del PARCO ARCHEOMINERARIO.

 

Per le visite guidate estive: sabato 16:30; 18:00 – domenica e festivi 11:00; 16:30; 18:00. Nel mese di Agosto anche i giorni feriali 16:30; 18:00

 

 

Il viaggio, o meglio, il trasferimento collettivo inizia con la chiusura dell’attività della miniera di zolfo di Cabernardi di proprietà della Montecatini.

Novanta anni di scavi, di esplosioni per avanzare nelle gallerie, di carrelli stracolmi di minerali spinti a forza di braccia, di muli ciechi, di minatori sudati e sporchi.

Tutto finì il 5 luglio 1952.

Lo sciopero dei “sepolti vivi”, nonostante l’accordo sottoscritto, non raggiunse lo scopo del mantenimento dell’occupazione e dell’attività produttiva di estrazione.

La società Montecatini iniziò così a trasferire centinaia di persone, in particolare gli scioperanti, verso paesi e luoghi, ai più, sconosciuti.

E soprattutto lontani, per quell’epoca. Distanti centinaia, anche migliaia di chilometri dalla propria abitazione. Lontani dai propri cari. Un esodo biblico.

 

Così la gente sciamò verso la Toscana, il Trentino, la Sicilia, l’Emilia-Romagna. Ma anche in Belgio, in Francia, in Lussemburgo.

 

Tutti via. Via dalla miniera di Cabernardi e via dal paese. Con le poche cose che potevano stare in una piccola valigia di cartone.

 

Il paese di Pontelagoscuro in provincia di Ferrara accolse quasi 250 famiglie.

Pontelagoscuro, un paese in ricostruzione, a ridosso della riva sud del grande fiume Po, immerso nella nebbia a poca distanza da una azienda chimica di proprietà della Montecatini. Pochi, intrepidi ex-minatori avevano già messo piede, da qualche mese, quasi come avanguardie, nella terra estense.

 

Noi e non per nostra volontà, di lì a poco, venimmo incoraggiati a trasferirci, senza tanti complimenti. Ci trovammo là a duecentocinquanta chilometri di distanza, dopo un lungo viaggio. Tutt’attorno nemmeno una collina.

Tutto piatto e poco distante un grande fiume aldilà del quale si sconfinava in Veneto.

Ci adattammo senza le nostre colline, le strade tortuose, ripide e ghiaiate. Non potevamo fare in altro modo. Ci adattammo.

 

A maggio del 1954, gran parte di noi, ricevette le chiavi di una casa.

La Montecatini, società padrona, oltre al lavoro – dopo avercelo tolto – ci forniva anche una abitazione. Anzi un intero villaggio costruito a nuovo, perché di famiglie eravamo in duecentocinquanta. Il Villaggio Orsera. Casette a due piani con un giardinetto. Case bellissime per quei tempi e di nuova concezione urbanistica.

 

Non c’era molta gente, neanche tra i ferraresi, a potersi permettere dimore così accoglienti. Forse i cittadini benestanti del centro città. Forse. Nei quartieri attorno alla città e in campagna invece, dove la prevalenza della forza lavoro era bracciantile, neanche a parlarne. Lì non c’era neanche l’acqua corrente in casa.

 

La Montecatini per costruire il “Villaggio Orsera” ci impiegò appena 8 mesi. Un tempo record. L’insediamento iniziato in agosto del 1953 fu completato in maggio del 1954.

Tutt’attorno non c’era nulla, i bombardamenti avvenuti durante la Seconda guerra mondiale aveva distrutto metà delle residenze degli operai e dei commercianti che svolgevano le loro attività in loco.

Diversamente dagli altri centri di periferia del ferrarese che continuarono a legarsi economicamente con l’agricoltura, Pontelagoscuro non tradì mai la vocazione secolare di centro nevralgico per i collegamenti e il commercio che favorì la collocazione di primi insediamenti industriali e più tardi di aree industriali molto importanti.

All’inizio degli anni Cinquanta, quando la ricostruzione stava cominciando, all’orizzonte si notavano poche abitazioni (foto aerea Villaggio Orsera).

 

 

Pontelagoscuro Vecchio non esisteva più, la bellissima Via Coperta neppure e nemmeno quelle fabbriche che avevano animato il paese dando lavoro, prima della guerra, a centinaia e centinaia di persone.

 

La convivenza tra ferraresi e marchigiani non è avvenuta in modo lineare e tranquillo. La tensione aleggiava in paese come nei luoghi di lavoro. Allora come ora i contrasti e le incomprensioni nascevano soprattutto per problemi di cultura, di tradizioni diverse, di dialetto, di riconoscibilità. Eppure, eravamo “immigrati”, provenienti da alcune centinaia di chilometri. Adesso un tiro di schioppo. Cosa volete che siano, duecentocinquanta chilometri. Tre ore di auto. Un niente.

 

Eppure, i ferraresi, gli autoctoni, non ci volevano. Dicevano che eravamo lì “per rubare loro il lavoro”.

Vi ricordano qualcosa queste frasi? Oggi?

 

Poi, il tempo, il contatto, la frequentazione, la reciproca conoscenza, la crescente fiducia faranno saltare le “frontiere” psicologiche e le barriere erette contro chi invadeva una terra non sua. Ci sono voluti anni, quanti non so. So che ad un certo punto l’integrazione si completò quando si dissolsero i muri delle ultime diffidenze e cominciarono gli scambi culturali, quando si mescolarono i rapporti, quando cominciarono i matrimoni misti.

 

Oggi a Pontelagoscuro si affaccia la terza generazione. Ragazze e ragazzi nati e cresciuti nel luogo dove i nonni erano emigrati. Qui hanno completato gli studi e qui oggi lavorano e vivono dopo essersi fatti una famiglia.

 

Cristalli nella Nebbia” prima come Comitato e poi come Associazione nasce per questo: “per raccontare la storia di queste coraggiose famiglie, dei loro figli e nipoti “.

 

Del distacco patito.

Delle loro storie, della fatica dell’integrazione, delle tradizioni marchigiane assorbite e fatte proprie dai pontesani nella cultura culinaria, nell’offerta e nel consumo di un bene primario come il pane (“la fila” che sostituisce “la coppia”), nel coniglio in porchetta, nelle erbe amare di campo ripassate in padella, nella zuppa di ceci particolarmente gradita in occasione della Vigilia di Natale e nell’apprezzare una cucina povera derivante da una cultura agricola e contadina.

 

Col tempo seguiranno, per motivi di lavoro o per ricongiunzioni o per altro ancora, nuovi trasferimenti le cui vicende non dipenderanno dalla miniera di zolfo di Cabernardi.

Chi si spostò, successivamente, lo fece perché lavorando o cercandolo sapeva di poter contare sulla presenza di parenti e di amici di famiglia.

 

Con la Mostra nel Chiostrino S. Paolo del settembre 1996 e con la prima edizione del bellissimo libro “Cristalli nella nebbia. Minatori a zolfo dalle Marche a Ferrara“ si esaurisce il compito del Comitato per dare vita, nel novembre 2013, per volontà di cinque soci fondatori ( Guido Guidarelli Mattioli, Giuseppe Ruzziconi, Flaviano Mencarelli, Elvio Andreolini, Gianpiero Costantini) all’Associazione Cristalli nella Nebbia ai quali si aggiungono Giuseppe Pastorelli e  Benito Fraternali.

 

Oggi l’area della miniera di Cabernardi e quelle viscere, che hanno accolto all’interno delle gallerie gli uomini-talpa a profondità inumane, è diventata un Parco Archeominerario inaugurato il 5 luglio 2015 dalla Presidente della Camera On. Laura Boldrini.

Marco Cesandri

Appassionato di metalli, gioca di ferro e di ruggine, Marco Cesandri, è fabbro-artigiano da tre generazioni a San Donnino. Una piccola frazione del Comune di Genga sulla strada che corre fino ad Arcevia. Immerso nel Parco naturale regionale della Gola della Rossa e della Gola di Frasassi, ad ore alterne, plasma le lastre e fa opere d’arte. Protagonisti, con o senza ruggine, sono gli ingranaggi, le chiavi, viti, lattine e bulloni. Niente da spartire con il riciclo. Marco non produce ma crea, non assembla ma compone. È un fabbricante d’emozioni.

Per capirlo, basta visitare la sua fucina-atelier. Le sue opere le costruisce con il filo del dono e tanto talento. Il raro dono di saper vedere tutt’altro in qualsiasi pezzo abbandonato di metallo; il talento del maestro che crea con scienza e coscienza. Con le conoscenze del fabbro e la sensibilità dell’uomo che lascia contaminare di buonumore, di positività ogni suo manufatto.

Una delle tante ragioni per cui gli è stato affidato di realizzare il Cippo commemorativo del “70esimo anniversario della lotta dei Sepolti Vivi” nel Parco Archeostorico della Miniera di Zolfo di Cabernardi.

«In questa mia scultura il corpo è realizzato con una bombola che rappresenta una realtà industriale tuttora operativa nel territorio. Il vagoncino fatto con un vecchio boiler sempre prodotto in zona. Mentre la chiave, appesa al collo, rappresenta la definitiva chiusura del polo estrattivo. Le mani tengono gli attrezzi alzati al cielo, verso quel paradiso negato nella vita terrena di tante povere anime».

Spiega che è nato a Sassoferrato nel 1971 e «sin da bambino rimasto affascinato dall’operato degli anziani capaci di riutilizzare quel poco materiale a disposizione. Le nostre zone erano tanto meravigliose quanto povere fino a che la miniera di Cabernardi portò lavoro in tutto il comprensorio. Ricordo ancora i racconti di chi, come Domenico Calderigi, Silvestri Virgilio ed altri, partivano a piedi per affrontare turni di lavoro massacranti a temperature così impossibili, che lavoravano sottoterra quasi nudi. Realizzare quest’opera mi ha dato l’opportunità di omaggiare chi, con enormi sacrifici, anche al prezzo della propria vita, è riuscito a creare benessere per la propria famiglia».

 

Marco Cesandri oggi lavora affiancato da suo padre che aprì l’officina nel 1963.

È lo scultore di oggetti giganti, come il colorato pesce che, collocato in una radura di carpini neri, arricchisce la collezione del “Parco del Sojo Arte e Natura” di Lusiana Conco in Provincia di Vicenza.

Uno dei parchi di arte contemporanea più importanti d’Italia.

 

Ha realizzato l’insegna del Parco Archeologico dell’antica città Sentinum ma è anche lo scultore che ha concretizzato l’arredo “industrial” ideato dallo stilista marchigiano Alessandro Marchesi, della “Compagnia del Denim”, per la “Bottega di Memory’s” a Sassoferrato.

Cesandri ha trasformato obsoleti tavoli di macchine da cucire, fusti e lastre e dato un effetto vintage special alla bella osteria-emporio. Come ha realizzato fioriere davvero particolari per l’Opera Pia di Senigallia. Le ha appositamente studiato per invitare e non ostacolare gli anziani ad accarezzare ed inebriarsi dei profumi delle piante.

Anche se, i veri colpi di cuore, scattano per gli oggetti più piccoli. Catturano lo sguardo, attirano le mani e rimangono nella memoria. Come la roncola-uccello pronta a spiccare il volo. Marco ha lasciato il manico rattoppato con lo spago.

Un omaggio a quel Dna del contadino marchigiano che porta materiali e attrezzi fino allo stremo. Difficile non innamorarsi dei suoi eterei mazzi di fiori bulloni, dei cagnolini con la testa fatta con un disco di una mola, i chiodi-baffi e faretti-occhi. In casa, ha uno zoo con delle molle-pinguini, delle api-ventola.

Ma quelli a cui è impossibile resistere, sono i suoi robot. Perché nell’atelier di San Donnino, “Wall-E” è davvero di casa.

Marco Cesandri li costruisce con vecchi vasi d’espansione, lattine vuote, molle allungate. Sono così affascinanti, così intriganti che viene voglia di giocarci.

 

 

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