Galleria Nazionale delle Marche: per la prima volta tornano a Urbino tre grandi pale romane di Barocci

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In occasione della grande mostra monografica “Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna” dal 20 giugno fino al 6 ottobre 2024 nei sontuosi spazi di Palazzo Ducale, a cura di Luigi Gallo (Direttore della Galleria delle Marche) e Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’Arte moderna all’Università di Urbino), con Luca Baroni e Giovanni Russo, faranno ritorno a Urbino alcune importanti opere di Federico Barocci.

In particolare, a oltre quattro secoli di distanza dalla loro esecuzione torneranno per la prima volta a Urbino le tre pale provenienti dagli altari di due delle più importanti chiese romane: la Visitazione e la Presentazione al Tempio da Santa Maria in Vallicella, detta Chiesa Nuova, e l’Istituzione dell’Eucarestia da Santa Maria sopra Minerva.

Riunite per la prima volta nella mostra a Palazzo Ducale di Urbino, le tre straordinarie pale d’altare dalle chiese romane costituiranno un’occasione unica di confronto con il lascito artistico di Federico Barocci, in cui l’eredità rinascimentale si confronta con le primizie dell’Età Barocca.

In occasione della mostra, la Galleria Nazionale delle Marche ha promosso e finanziato il restauro della Visitazione e della Presentazione al Tempio, curato da Fabiola Jatta e Laura Cibrario. Sono così riemerse le straordinarie cromie originali dei due dipinti, permettendo al pubblico di apprezzare la finezza delle luci, la resa espressiva dei personaggi e degli animali, ma, soprattutto, i sofisticati accostamenti tra tinte fredde e calde che connotano la pittura di Barocci, evocando i suoi contatti con la pittura veneziana e con la maniera dolce e sfumata desunta dallo studio delle opere di Correggio.

La Visitazione, ultimata nel 1586, è il quadro che segna il trionfale ritorno di Barocci a Roma, da cui mancava da oltre vent’anni dopo la malattia che, nel 1563, l’aveva costretto a rientrare precipitosamente nella natia Urbino. Il committente è Filippo Neri, predicatore e fondatore dell’ordine degli Oratoriani, poi santificato nel 1622, grande estimatore dell’opera di Barocci, di cui apprezza lo stile raffinato e il talento nel narrare la storia sacra in modo semplice e comprensibile, avvicinandola alla quotidianità popolare. Ambientata in un suggestivo sfondo urbinate (alle spalle della Vergine e di Elisabetta si scorge l’elegante profilo del Palazzo Ducale di Urbino), la pala è destinata a uno degli altari della Chiesa Nuova che accoglie in quegli anni l’opera dei migliori artisti di Roma. Il successo dell’opera di Barocci è tale che, stando alle fonti, la sua contemplazione quotidiana suscitava in Filippo Neri l’estasi mistica. Non sorprende quindi che, poco dopo l’arrivo del dipinto, gli Oratoriani commissionino a Barocci l’esecuzione di una seconda pala, raffigurante la Presentazione al Tempio e la cui esecuzione, complicata dall’audace prospettiva architettonica e dall’elevato numero di figure, richiederà all’artista ben dieci anni, dal 1593 al 1603. Nelle intenzioni degli Oratoriani, Barocci avrebbe dovuto realizzare altri due dipinti, tra cui la pala dell’altar maggiore: un progetto caduto per l’età avanzata dell’artista (la commissione passerà al giovane Rubens) ma che, se completato, avrebbe fatto della Chiesa Nuova il più potente centro di irradiamento dell’arte del maestro urbinate.

Come avvenuto anni prima con la Visitazione, l’arrivo a Roma della Presentazione al Tempio provocò l’ammirazione e lo stupore dei contemporanei, soggiogati dal virtuosismo cromatico di Barocci e dalla sua capacità di raccontare con grazia ed eleganza la storia cristiana. Tra coloro che rimasero colpiti dal dipinto vi fu anche il Pontefice, Clemente VIII Aldobrandini, che alla fine del 1603 commissionò a Barocci, ormai in età avanzata, la grande Istituzione dell’Eucarestia per la cappella di famiglia, progettata da Carlo Maderno, che il Papa stava facendo erigere senza badare a spese presso la chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva. Caso forse unico nella storia dell’arte della Controriforma, il tema iconografico e la sua descrizione sono stabiliti direttamente dal Pontefice, che interviene in prima persona sulle scelte espressive di Barocci. Ma l’artista, complice la fama internazionale acquisita in oltre mezzo secolo di successi, riesce a convincere Clemente della propria visione realizzando, a dispetto del difficile formato verticale del dipinto, un capolavoro di teatralità e di rappresentazione di gesti e atteggiamenti. L’insistito chiaroscuro della scena, animata da una fiammella sullo sfondo e costruita con impeccabile padronanza della prospettiva, sembra rispondere (forse provocatoriamente) ai recenti sviluppi del naturalismo caravaggesco; mentre la figura pensosa sulla destra, vestita di giallo, è un esplicito omaggio dell’Eraclito/Michelangelo ritratto nella Scuola di Atene da Raffaello, l’altro grande artista urbinate di cui Barocci si sente a pieno titolo l’erede.

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