Le Università come motore di innovazione Cambridge in testa in Europa

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Il contributo delle università alla creazione di economia e innovazione è cruciale, con Cambridge che si distingue a livello globale per la produzione di scoperte scientifiche trasformate in prodotti e aziende deep tech.

 

Qual è il contributo delle università nel creare economia, innovare le imprese e migliorare la società. Questo concetto, noto come la “terza missione”, è spesso discusso e interpretato in modi diversi da docenti e università.

 

Le Università spingono l’innovazione deeptech, Cambridge in prima linea. La scorsa settimana, Dealroom.co ha pubblicato un rapporto rivoluzionario che mette in luce il ruolo cruciale delle università nella creazione di aziende deep tech e nel generare valore economico associato. L’analisi approfondita dell’ecosistema di Cambridge, Inghilterra, ha rivelato risultati straordinari.

 

Per deeptech si intendono nuove scoperte scientifiche o ingegneristiche che vengono applicate per la prima volta in prodotti e aziende, rappresentando l’avanguardia dell’innovazione tecnologica.

 

Il Regno Unito guida l’Europa per il valore generato dalle sue università, tenendo conto di brevetti, finanziamenti di venture capital, aziende “unicorno” e valore complessivo. La Germania è seconda, seguita dalla Svizzera.

 

L’Università di Cambridge e l’area circostante si classificano al terzo posto a livello globale, dopo Boston, per la produzione di scoperte scientifiche e ingegneristiche trasformate in prodotti e aziende.

 

Questo è particolarmente notevole considerando che Cambridge è una città di soli 150.000 abitanti. Trascorrere del tempo a Cambridge significa incontrare continuamente persone impegnate in nuovi progetti—una fonte costante di ispirazione! Con l’Università di Oxford al quinto posto, il Regno Unito ha due dei principali poli di innovazione mondiale tra i primi cinque per la produzione di tecnologie rivoluzionarie.

 

Cambridge rappresenta il 18% del valore complessivo dell’ecosistema tecnologico del Regno Unito, utilizzando solo il 3% dei finanziamenti necessari. Questo risultato sorprendente dimostra l’incredibile potenziale quando accademia, imprenditorialità e capitale di rischio convergono. Esempio lampante è Wayve, che ha recentemente raccolto un miliardo di dollari e ha origine dall’Università di Cambridge, pur avendo ora sede a Londra. Cambridge è un centro di innovazione estremamente efficiente in termini di capitale, producendo oltre 16,9 dollari di valore per ogni dollaro di investimento VC.

 

Cambridge è l’università numero uno in Europa per la produzione di spinout di valore, evidenziando un robusto pipeline di innovazione. ETH Zürich, invece, guida per volume di spinout.

 

«Certamente, l’università svolge un ruolo chiave nella formazione, ma è anche vero che se guardiamo alle startup e scaleup americane, molte storie di CEO e manager di successo includono persone che non hanno trovato nell’università lo spazio giusto per il loro talento, spesso non convenzionale e limitato dai percorsi universitari. Da Steve Jobs a Mark Zuckerberg, gli esempi sono innumerevoli», spiega Antonio Prigiobbo, analista dell’innovazione e founder di NAStartUp.

 

E l’Italia? Nelle università italiane le eccellenze nella ricerca non sono sufficienti per raggiungere le prime posizioni nelle classifiche internazionali (attualmente l’Italia è all’8ª posizione). Mancano investimenti da parte delle imprese, dei privati e dei venture capital nazionali. L’Italia non ha ancora attirato l’attenzione necessaria dei mercati internazionali di venture capital, né europei né globali, a causa dei bassi volumi di investimento. Di conseguenza, nel paese si creano poche startup scaleup e ancor meno unicorni.

 

«Recentemente il Politecnico di Milano e quello di Torino hanno sviluppato percorsi per supportare lo scaleup delle startup. Tuttavia, la situazione nel Mezzogiorno d’Italia è critica: le università del Sud non sono riuscite a decollare come incubatori. Ad esempio, dei due incubatori universitari presenti a Palermo e Napoli, uno ha chiuso e l’altro è in liquidazione da anni», conclude Prigiobbo.

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