Capodanno a L’Aquila

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Pubblicata dal quotidiano La Provincia di Lecco, domenica 9 gennaio 2011, la lettera di Michele Speca, giovane volontario di Emergency, è rimbalzata poi su diversi siti e blog, da “Ul Tapelon” a www.ilcapoluogo.it. Perché? Be’ perché è il racconto di un italiano qualunque che, invece di farsi un’idea sbagliata in base a ciò che gli viene raccontato, legge o vede in tv, decide di passare il Capodanno a L’Aquila e accertare con i propri occhi la situazione. Questo il testo: “Gentile Direttore buon anno! Come ha passato il Capodanno? Io l\’ho passato in un posto che qualcuno riterrebbe \”alternativo\” o \”fuori-moda\”: non mi sono concesso le Canarie, non ho oziato a Sharm, non ho ammirato le nostre città d\’arte, ma sono stato all\’Aquila. Perché questa scelta? Dopo la sovraesposizione mediatica del 2009, quando il capoluogo abruzzese era centro della nostra attenzione – protagonista di gare di solidarietà, servizi giornalistici con musiche strazianti di sottofondo e notizie trionfalistiche di chi si vantava d'aver ricostruito una città a tempi record – ho voluto constatare coi
miei occhi e con le mie orecchie com'era realmente la situazione, osservando a che punto fosse la ricostruzione
tanto decantata e ascoltando il parere degli aquilani e di chi ha vissuto in prima persona il tragico evento del terremoto. Nessuna intenzione morbosa alla "Avetrana" per intenderci, solo una sana voglia di stare, nel mio piccolo, al fianco di alcuni connazionali in difficoltà e di testimoniare come stanno le cose, a un anno e mezzo
da quel 6 aprile 2009, trasformandomi – se mi permette, una volta tanto – in "cittadino-giornalista". Le dirò di
più, con questa lettera mantengo un impegno con la popolazione: sa che, andando verso il centro storico, un
cartello invitava turisti e forestieri a non scattare irrispettose foto in posa, ma chiedeva di raccontare e diffondere la realtà di ciò che si vedeva? Il centro storico, appunto. Ovvero il cuore di ogni città. Parto col dire cheil centro storico de L'Aquila (sarà 5 – 6 volte il centro di Lecco) è aperto solamente per la via principale, quella che dalla Basilica di Santa Maria di Collemaggio porta alla Fontana Luminosa. Tutte le vie limitrofe, una moltitudine di vicoli e stradine, sono chiuse e sbarrate da transenne ove campeggia la scritta "Zona rossa", cioè zona invalicabile da chiunque, poiché considerata pericolosa e pericolante. Per questo, a ogni monumento della città, si poteva notare, oltre all'inacces¬sibilità (era aperta solo Collemaggio, col tetto sfasciato e le sedie di plastica) la presenza dei militari: una camionet¬ta con tre – quattro giovanotti in mimetica, lì per verificare che nessuno valicasse le "zone rosse" o trafugasse qualche reperto di valore artistico. A metà del percorso del centro storico c'era piazza Duomo, con la sua fonta¬na, con la cattedrale di San Massimo e con la chiesa delle Anime Sante: anche loro, come tutte le case e i negozi, puntellate e non visitabili all'interno. Il Forte Spagnolo, cioè il Castello de L'Aquila, era solo "circumnavigabile", sbarrata e sorvegliata la via d'accesso verso il portone. Per vedere il Palazzo del Governo, invece, dovevi mantener¬ti a cento metri di distanza, poiché completamente rivolto su se stesso, con le macerie ancora in "bella" mostra. La Fontana delle 99 cannelle, altro luogo-simbolo, sta meglio: rimessa a posto dal FAI, anche se il vicino convento di Santa Chiara e la chiesa di Porta Rivera mostravano ancora mura crepate e tetti inesisten¬ti. Ero d'altronde nei pressi dell'epicentro del sisma, nell'ex via XX Settembre, oggi rinominata via 6 apri¬le 2009: la Casa dello Studente e l'istituto religioso adiacente sono come li avevamo visti il 10 aprile 2009. Sventrati, senza mura, con unica differenza una ruspa (ferma) sopra le macerie. Identico il ricordo fatto di messaggi, magliette e fiori in ricordo di chi lì ha perso la vita. I messaggi, altro punto-chiave del mio viaggio: ce n'era ovunque. Tanti. Dai 309 nastri nero-verdi – uno per ogni morto – alle poesie e ai cuori appesi sulle transenne verso i propri cari, sino ai molti cartelli di "protesta": da quello degli studenti aquilani che lamen¬tano l'assenza di ricostruzione a quello che denuncia la "svendita" de L'Aquila da parte di Comune, Provincia, Regione e Governo; da quel¬lo di sdegno verso chi racconta bugie su bugie (in sintesi "non è vero ciò che vedete ai TG, è vero ciò che vedete qui.) a quelli densi di dignità ("Riprendiamoci la città" citava uno striscione in piazza Palazzo, dove la statua di Sallustio aveva in mano pala e secchiello). Possibile tutta questa "arrabbiatura" in una città che qualcuno diceva rimessa in piedi? Per sapere ciò, non restava che chiederlo direttamente agli aquilani. E nel mio percorso – dal centro a Paganica, da Tempera a Coppito – ad onor del vero, non ne ho incontrati a flotte. Immagini, Direttore, di girare Milano in pieno agosto. Oppure, se ha più fantasia, le vecchie città del Far-West descritte nelle pellicole di Sergio Leone. La situazione era più o meno quella: edifici distrutti, puntellati o disabitati. Perché gli aquilani non stanno più a L'Aquila: sono andati via i giovani, che non hanno più scuole (chiuse) e polo universitario (uno dei principali d'Italia) o che decidono di fare la propria vita altrove; sono anda¬ti via coloro che, nonostante tutto, avevano un gruzzoletto per permettersi una nuova casa; sono andati via gli ospiti delle C.A.S.E. (che stanno in periferia a L'Aquila), ovvero le abitazioni in legno messe a disposizione dal governo per tappare l'emergenza di chi ha avuto la dimora distrutta dal sisma; sono andati via coloro che non hanno avuto assegnate le C.A.S.E. e che sono stati ospitati da parenti e amici (nel mio ostello a Paganica, ad esempio, c'erano tre famiglie impa¬rentate fra loro, più altri ospiti); sono andati via, per forza, anche coloro chenon hanno avuto le C.A.S.E. e che sono stati ospitati dagli alberghi, fino a quando non si sa. "Chi resterà a L'Aquila dopo la ricostruzione (tra quanti anni, chissà)?". La risposta è: solo i vecchi e i poveri. O chi avrà ancora da mangiarci sopra. Questa appena descritta sembra essere la cosa più preoccupante degli abitanti: "L'Aquila non ha futuro".
L'impressione è che L'Aquila è stata un affare per molti, ora non lo è più: nell'immediato si è fatto quello che si doveva fare di fronte a un'emergenza, cioè un tetto per tutti e messa in sicu¬rezza della città; poi, lentamente e in maniera poco trasparente, sono partiti i fondi per gli aquilani, ma non si capisce molto su come siano stati distribuiti e con che quale criterio: c'è chi lamenta d'aver avuto poco o nulla a vantaggio dei "soliti noti" e c'è chi spiega che contava avere gli "amici giusti" o conveniva "essere furbi e non guardare in faccia alla disperazione degli altri" ("Siamo in Italia".); dopo il G8 (un anno fa), poi, sono scomparsi i riflettori dei giornalisti e con loro Protezioni civili, addetti alle ricostruzioni, politici in visita e fondi per ricominciare una vita normale.
Perché la vita "normale" dei cittadini aquilani è giorno per giorno e fa ormai affidamento solo sulle proprie forze. Ho contato le attività commerciali in centro L'Aquila: sette. Più o meno il cin¬que per cento, facendo una stima. Due bar, due ristoranti, un negozio di prodotti tipici, una tabaccheria e un negozio di vestiti. Non mi pare molto per una città "completamente funzionante". In realtà una via commerciale è stata ricreata – seppur più in periferia -ed è viale Croce Rossa, ovvero una serie di quindici – venti case di legno e mini -containers dove si potevano trovare attività commerciali gestite da grosse catene industriali (difficile trovarne a gestione familiare).
"Se lo Stato non t'aiuta a ricominciare, chiediamo alle banche" è l'idea di riserva degli aquilani. Ma gli istituti bancari per dar credito vogliono una garanzia immobiliare, che di norma è la propria casa; ma siccome la propria casa è un rudere devastato da un sisma, allora la garanzia non c'è e quindi nemmeno il prestito. Logica schiac-dante…
"Se lo Stato non t'aiuta e le banche nemmeno, ci tocca fare tutto da noi" è l'ultima spiaggia degli aquilani. E c'è chi costruisce senza avere l'ok dagli ingegneri comunali o chi s'indebita per cercare di risistemare la propria casa. Tutto questo non è giusto, mi fa rabbia, ma una rabbia impotente e desolante. In fondo, non mi riesce affatto di dar loro torto. Cercare colpe e mancanze, sbugiardare promesse non mantenute, smascherare false propagande, agli aquilani serve meno. Andare avanti da sé, chiedere una mano a parenti, amici e conoscenti per cercare di ripartire. Da soli. Accompagnati solo dalla propria dignità e dal proprio orgoglio. E' il loro motto: "Forti e gentili". Lo sono davvero. Ed è l'insegnamento più grande che mi hanno lasciato in questo viaggio di Capodanno".

New Year's Day in L'Aquila
Published by the daily paper La Provincia di Lecco, on Sunday 9th January 2011, the let-ter of Michele Speca, young Emergency volunteer is spread on many websites and blog. It's the story of an ordinary Italian that, instead to get a wrong idea based only on what people tell him, or law or sees on tv, decides to spend the New Year's Day in L'Aquila and to check with own eyes the situation. This the text:

"Dear Director, how did you spend the New Year's Day?
I spent it in L'Aquila. I have made this choice. I have been intentionally there with my relatives, in order to see with my eyes the situation.The historical centre of L'Aquila is only opened through the main way, from the Basilica of S. Maria di Collemaggio to the luminous fountain. All the neighbouring streets are crossed from crush barrier where there is the sign "Red Zone", considered dangerous and unsafe. For this reason there are the sol-diers. In the mid of the way of the historical centre there was Piazza Duomo, with its fountain, the cathedral of S. Massimo and the church of the Anime Sante: like all the houses and the stores, they are supported and not visible from the inner. The Spanish fort, that is the Castle of L'Aquila, was "bypassed" only, the main entrance crossed and control-led. In order to see the Palace of the Government, instead, you had to hold at one hundred meters of distance, becau-se completely collapsed, with the ruins still "showed" at the open sky. About another symbol place, the Fountain of 99 cinnamons, the situation is better tanks to FAI, even if the close convent of S. Chiara and the church of Porta Riviera showed walls cracked and nonexistent roofs. The Campus and the next religious institute are like we had seen on 10th April 2009: demolished. What think L'Aquila people? During my walk I have not met numerous because they have been gone away. There are only old and poor people. I have counted the business activities in the centre: seven. After an esteem more or less the 5%. Two bar, two restaurants, a typical foods shop, a tobacconist and a dress shop. I think that it's not enough for a city "completely working". "Ifthe State doesn't help you to start again, we ask to the banks"it is the spare idea of L'Aquila people. But the banks in order to give credit want a real estate guarantee, that usually is the house; but as own house is a ruin destroyed by seism, then there is not a guarantee and therefore not even the loan. Damning logie. "If the State and the bank dont help you, we make all by ourselves" It's the last chance. There is who con-struct without having the assent by the communal engineers or who undue itself in order to reconstruct again own home. This is not right, what a damned, large and desola-ting anger. I can't to affirm that they are wrong. To find fault and mista-kes, to belie promised never maintai-ned, to unmask false propaganda, but Aquila people need less. To go ahead from himself, to ask a hand to relatives, friends in order to try to start again. By themselves. Only by own dignity and own pride. It's their maxim: "Strong and kind". It is the greater lesson that they have left me in my New Year's Day trip.

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