“Pasticcio burocratico sul Covid, ho speso 8mila euro per ‘liberare’ mia figlia”, la lettera di una giornalista

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Riceviamo e  pubblichiamo l’appello di Barbara Gazzale Dardani al ministro della Salute Roberto Speranza

 

Gent.mo signor Ministro, le scrivo oggi solo perché stanotte mia figlia e il suo ragazzo hanno riconquistato la libertà. Le scrivo oggi da giornalista, ma prima di tutto da madre, per aver sperimentato sulla pelle quanto protocolli di sicurezza non verificati con la realtà e follemente applicati possano anche distruggere quel poco che resta di un Paese già abbastanza martoriato dal Covid.

 

Le scrivo anche perché ho verificato di persona quanto la macchina dello Stato (a meno che non si incontrino in posizioni non di potere persone dotate di umanità e buon senso come per fortuna è capitato a noi) possa essere incapace di gestire le esigenze reali e la vita dei cittadini, specie quando questa macchina è guidata da protocolli che ricordano più editti imperiali di follia che norme di servizio e tutela dei cittadini stessi; ho quindi assistito in televisione alle dichiarazioni totalmente non veritiere, certo per quanto riguarda l’esperienza che le racconto, di un sottosegretario del suo ministero; infine ho incassato in piena notte, e questo, da italiana che vive all’estero, mi ha fatto ancora più male, la telefonata di mia figlia che ha sintetizzato in una frase drammatica e dolorosa la sua esperienza: “mamma, te lo giuro: mai più in Italia”.

 

Le scrivo quindi la cronistoria. Antefatto: mia figlia Noa, 21 anni, cittadina svizzera, prenota una breve vacanza di una settimana in una masseria in Puglia, nei pressi di Ostuni insieme con il suo ragazzo Lorenzo, di Como, coetaneo. Niente di sfarzoso: una piccola stanza senza finestre perché l’unica apertura – come spesso accade nella casa pugliesi -è la porta che consente di accedere alla corte interna. Bagno in mare, sole…tutti gli ingredienti per una vacanza da giovani. Ma una telefonata li pone in allarme: un amico di Lorenzo, da lui incontrato pochi giorni prima della partenza per la Puglia, è risultato positivo al tampone Covid. Un controllo con il termometro evidenzia un’alterazione di tre linee. Rapida telefonata a casa di mia figlia e il mio suggerimento da madre di famiglia e da una che a scuola ha studiato ancora l’educazione civica (per altro vedendola applicata in Svizzera dove viviamo da circa dieci anni): non uscite e chiedete di poter effettuare un tampone.

 

Detto fatto con il verdetto fatale: positivi entrambi anche se, per fortuna, totalmente asintomatici. Una rapida telefonata e un’ambulanza di Cernobbio è pronta a partire per riportare a casa i due positivi, che malati non sono, perché completino la quarantena in isolamento in una casetta monofamiliare non distante da Como liberata ad hoc dai parenti. Idem è pronto a fare il TCS, efficientissimo Touring Club svizzero al quale tutti i cittadini elvetici si rivolgono per far rientrare i familiari da aree e paesi a rischio, come purtroppo si è rivela essere l’Italia.

 

E qui incomincia l’Odissea, che probabilmente riguarda la stragrande maggioranza dei positivi che si sono assoggettati al test e che hanno dimostrato grande senso civico. La soluzione più facile, quella che avrebbe riportato a casa i due ragazzi ponendoli in isolamento e non mettendo a rischio gli altri turisti della masseria nonché il personale dipendente, cozza però con il “protocollo”, o forse sarebbe meglio chiamarlo… der Protocol, come il mio amico Nicola Porro lo definirebbe volentieri.

 

Poco possono farci i medici e i dirigenti della Asl che si prodigano per trovare una soluzione: nel protocollo messo a punto dal Ministero della Salute, il suo Ministero signor Speranza, lo spostamento nei “nuovi lebbrosi” non è contemplato. Comitati scientifici, task forces, luminari della virologia non ci hanno pensato. Tantomeno lei e i suoi funzionari. Eppure tutti, e lei per primo, parlano da settimane sui giornali di ondata di ritorno, virus delle vacanze, ragazzi “untori” perché hanno scelto di andarsi a cercare i guai. Tutti sanno che la maggioranza di quelli che sono chiamati malati sono contagiati asintomatici condannati a una reclusione forzata lontano da casa e a spese loro o meglio delle loro famiglie.

 

Fatto sta che per mia figlia e il suo ragazzo iniziano giorni da reclusi, o da sequestrati se preferisce: la masseria nel frattempo si è svuotata perché gli ospiti sono fuggiti e idem i dipendenti che hanno abbandonato il lavoro terrorizzati dal contagio. I due ragazzi, solo grazie alla cortesia dell’anziano proprietario, ricevono cibo e panini posati davanti alla porta. Ma devono convivere nella stanza senza finestre senza poter buttare neppure via la spazzatura o ottenere la biancheria pulita. E ciò in contraddizione con der Protocol che prevede che i positivi debbano vivere nell’igiene e nel pulito.

 

Dalla politica, la più alta a livello regionale, arrivano rassicurazioni costanti e reiterate: stiamo lavorando al caso, la soluzione è pronta. Ma non è vero. Esiste il suo Protocollo e contro ogni logica il Protocollo sancisce una clausura forzata che assomiglia molto a un sequestro di persona. E in parallelo sancisce la condanna alla chiusura per strutture turistiche che avrebbero invece disperato bisogno di aiuto e si sarebbero potute salvare solo con un po’ di buon senso.

 

Passano i giorni e le notti. Il proprietario della Masseria, con il cuore che caratterizza il Sud e che neanche l’ottusità politica riesce ad arrestare, consente il passaggio in un alloggio con finestra e cucina che si affaccia sulla campagna. E lo stesso cuore anima anche i funzionari e una dottoressa dell’Asl di Brindisi che cercano anche nei giorni festivi una soluzione.

 

Prima mi si chiede di trovare un camper con tre posti davanti per autista, medico e infermiere e una separazione netta dalla parte del mezzo abitata dai due “contaminati” che deve essere dotata di toilette. Poi, visto che un mezzo con tali caratteristiche non esiste, si opta per un’ambulanza pugliese (che ha una toelette riservata) scortata da un’auto con due o tre addetti dell’Asl, a guardia di eventuali inconvenienti. Una soluzione che viaggia sulla lama del rasoio di un rischio che si assumono con coraggio le persone della Asl di Brindisi, che meritano il mio, ma forse anche il suo, ringraziamento. E cito la dottoressa Calabrese e il dottor Pasqualone.

 

Sono una privilegiata, perché anni e anni di lavoro hanno cementato amicizie salde anche con giornalisti noti e uomini in grado di mettermi in contatto con persone in posizioni alte nella catena gerarchica delle Istituzioni sino ad arrivare al Presidente Emiliano. Ma può funzionare così?

 

Mentre l’ambulanza con l’auto di scorta, faccio fatica a raccontarlo agli amici svizzeri che non riescono a crederlo, risale l’Italia, accendo la televisione e assisto di persona durante la trasmissione In Onda, condotta da un altro caro amico, Luca Telese (che tanto si è prodigato insieme con Nicola Porro per aiutarmi a uscire dal tunnel), alle dichiarazioni del suo sottosegretario, Sandra Zampa, che assicura come squadre speciali da voi create per il protocollo stiano risolvendo tutti i casi e che comunque lo Stato fa fronte direttamente ai costi alberghieri e di mantenimento dei positivi che potrebbero restare tali e quindi confinati in hotel e villaggi fantasma anche per settimane.

 

Una piccola consolazione visto che il convoglio che porta mia figlia e il suo ragazzo lo fa sulla base di un preventivo di spesa (a carico delle famiglie) pari a un jet privato, che il povero gestore della masseria si prepara a mandarci il conto del mantenimento e che di rimborso o anche di semplice concorso alle spese non parla nessuno. E non si tratta di spesucce. Per le dieci ore di viaggio di andata dell’ambulanza con due addetti a bordo, ovviamente il loro pernottamento e la missione, il conto è di 2.412,06 euro. Nulla da dire. Per l’auto di scorta, altri due addetti, con straordinari, trasferte, missione, cena il conto è salatissimo. Si tratta di 5.338,28 euro. Ma è anche l’unica via d’uscita, l’unica che consente di passare tra le pieghe di norme che ignorano la realtà e di garantire ai cittadini, che in quanto contagiati non sono né malati né rei confessi di un crimine, di tornare a casa.

 

Paradossalmente la soluzione è frutto di una grandissima disponibilità delle strutture locali della Asl, che per giorni si sono scervellati per trovare una soluzione pratica e ai quali sarò sempre riconoscente. Il costo mi è stato anticipato e l’ho accettato perché né la mia famiglia, né loro, avevamo alternative. Lei, caro Ministro, le avrebbe dovute prevedere. Sì, perché applicando i criteri del suo Protocollo a tutti quelli che per coscienza civica si sono fatti “tamponare” e che riuscissero a trovare qualcuno, (non certo le squadre speciali evidenziate dal suo sottosegretario in televisione), disposto a farli rientrare, dovranno comunque prevedere spese per molti insostenibili.

 

Per i positivi si porrà e si pone l’alternativa (alla quale Lei e i suoi tecnici evidentemente non hanno pensato), fra affrontare costi (a oggi a loro carico) di una permanenza a tempo indeterminato in strutture alberghiere sparse per la penisola e destinate a desertificarsi, e il salasso di trasferimenti, sempre a patto, come accaduto a me, a mia figlia e alla mia famiglia, che all’altro capo della linea telefonica, si abbia la fortuna di trovare persone di buon senso, in grado di capire che anche i Protocolli possono essere sbagliati e che abbiano la voglia e la disponibilità di cercare e trovare, nelle pieghe di norme svincolate dalla realtà, le chiavi per soluzioni estemporanee.

 

Ma torniamo a mia figlia: nella notte seguo chilometro per chilometro il percorso di mia figlia, liberata eufemisticamente a caro prezzo. Stiamo al telefono sino alle tre di notte, sino alla farsa finale di una perquisizione nella casa di Como per verificare che qualcuno forse in cerca disperata di contagiarsi non si sia nascosto dietro una tenda o in un sottoscala. Tutto secondo der Protocol. Il sequestro finisce qui, con tanti interrogativi senza risposta del tipo…ma come fanno quelli che non possono pagare il ri…entro scortato?

 

Come fanno in alternativa queste famiglie a pagare settimane e settimane di soggiorno obbligato nel confino di strutture alberghiere dove prevedevano di spendere una breve vacanza? Se non ci si imbatte in funzionari e medici coscienziosi cosa si fa? Si sta settimane e settimane in regime carcerario in attesa di un tampone negativo? Nessuno si pone interrogativi sui danni che il Protocollo provoca alle strutture turistiche?

Dove sono le squadre speciali di cui parla il suo Sottosegretario e gli interventi della Croce Rossa per fornire cibo ai contagiati?

 

Sarebbe stato così facile: un’ambulanza dal nord o dal sud il giorno stesso del tampone positivo, una rapida sanificazione della stanza, l’isolamento dei positivi, che non sono malati nè untori né colpevoli di reati, nel luogo più vicino e sicuro per garantire loro anche l’assistenza psicologica delle famiglie.

 

Con un effetto indotto: quello di non deteriorare ulteriormente l’immagine del nostro povero Paese, che appare, alla luce di questi fatti, alternare incompetenza a menzogne in tv, in Paesi come la Svizzera dove il tampone si effettua fra il terzo e il quinto giorno e la quarantena dura dieci giorni. …dove le vittime del Covid in percentuale sulla popolazione per fortuna sono state molto molto minori e dove i positivi non sono malati… senza Speranza.

 

Lettera di Barbara Gazzale Dardani

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