Il Sistema Pelikan e la Thailandia

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L’Italia batte la concorrenza di Cina, USA e Giappone nel settore ecologico marino, la testimonianza di Alessandro Marmello Export Manager di Garbage Group, l’uomo che ha seguito tutto il progetto di internazionalizzazione

 

Alessandro Marmello, l’Export Manager di Garbage Group, ci racconta in prima persona

Alessandro Marmello

l’esperienza di internazionalizzazione di Garbage Group in Thailandia che ha permesso al Gruppo anconetano di vendere due unità gemelle della classe Pelikan, il battello antinquinamento e “mangia plastica” nel Paese asiatico. “Il risultato ottenuto – ha dichiarato Marmello – non è solo frutto di un lavoro serio, ma anche dal fatto che l’Italia ha ottime aziende e prodotti d’eccellenza da poter presentare sui mercati internazionali che hanno un grandissimo appeal nei Paesi asiatici”.

Una delle due unità Pelikan consegnate in Thailandia

Le aziende italiane dovrebbero quindi concentrarsi per battere la concorrenza dei competitor d’oltreoceano?

Direi di concentrarsi nel fare innovazione a 360 grandi. E’ una competizione è vero, ma è bene concentrarsi sul lavoro quotidiano solo così è possibile raggiungere risultati come quelli ottenuti con Garbage Group e il suo Pelikan, la definirei una questione di metodo. Quando seguo un’azienda, faccio in modo che i competitor non esistano, cerco di affinare le unicità delle imprese, dei loro prodotti e servizi, i loro punti di forza, così che si possano disomogeneizzare dall’offerta che il mercato globale propone, rendendole uniche. Quello che serve in generale e come detto sopra e che le aziende si mettano al passo con i tempi e in questo alcune nostre imprese italiane peccano”.

Una delle due unità Pelikan consegnate in Thailandia

In che senso?

Spesso non hanno documentazioni o siti web in Inglese per esempio e molte sono aziende familiari piuttosto restie alle innovazioni produttive e alla collaborazione a rete con altre imprese. Questo accade perché non hanno una figura di contatto. Oppure non hanno dei Sales Manager, in questo caso, però, possono affidarsi a professionisti di esperienza simile alla mia. Si chiamano facilitatori strategici, in Inglese strategic facilitator cioè una figura che media fra domanda e offerta con una profonda conoscenza dell’area del pianeta in cui si vuole sviluppare il business”.

Garbage Group e i Paesi del Sud Est Asiatico

Da circa quattro anni Garbage Group è presente in Asia con un suo ufficio dedicato a questo mercato in Thailandia. Partendo da una posizione baricentrica come quella tailandese nella regione commerciale dell’ASEAN (Association of South-East Asian Nations ndr) la Garbage Group è riuscita a imporsi sul mercato delle imbarcazioni ecologiche per la raccolta dei rifiuti, vincendo una gara d’appalto nel 2019 nello stato del Regno di Thailandia.

Maptaphut cartina
Porto industriale di Maptaphut

Inoltre la Garbage Group è riuscita a far conoscere la propria professionalità anche nella gestione dei rifiuti aiutando le autorità ad applicare la Legge Marpol partendo dal Porto industriale di Maptaphut. Perché la Thailandia? Il Paese è da sempre al centro del mercato asiatico, sono numerose le fiere di settore e tutte le maggiori aziende mondiali hanno un ufficio con sede a Bangkok o nelle zone centrali industriali, come per esempio a Laem Chabang, lo scalo più importante tailandese e XXII porto più trafficato a livello mondiale nel 2016. Infine dalla Thailandia, è possibile raggiungere in poche ore di volo tutti gli stati della regione dell’ASEAN compresa l’India oggetto di due missioni da parte dell’ufficio asiatico della Garbage Group dove si sono stretti contatti con la Marina Mercantile di Mumbai.

Che cosa è l’ASEAN

L’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN) è un’organizzazione politica, economica e culturale di nazioni situate nel Sud Est Asiatico, cui è collegata l’omonima area di libero scambio, in altre parole l’area di libero scambio dell’ASEAN, a sua volta collegata con singoli accordi all’Australia, Nuova Zelanda, Repubblica Popolare Cinese, Corea del Sud e Giappone, tale per cui ognuno di questi stati ha un accordo di libero scambio con l’ASEAN.

I Paesi membri dell’ASEAN

I dieci paesi che compongono l’Associazione – Birmania, Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Singapore, Thailandia e Vietnam – non hanno solo intrapreso un percorso di sviluppo economico e sociale significativo (secondo le analisi di Bloomberg, cinque di essi rientrano nella lista dei venti paesi che più contribuiranno alla crescita del PIL globale ndr), ma si stanno anche muovendo verso una sempre più forte integrazione politica e regolamentare, che ha come modello di riferimento quello europeo.

Nell’intero continente asiatico è ormai radicata la consapevolezza della necessità di spingere verso un modello di maggiore integrazione per rispondere in maniera efficace ai grandi cambiamenti (tecnologici, sociali e ambientali) che si profilano all’orizzonte, trasformando così le sfide in opportunità di sviluppo. Tuttavia, gli ideali che hanno portato alla nascita dell’ASEAN non combaciano perfettamente con i valori alla base del sogno europeo ed è bene, su questo punto, evitare fraintendimenti.

L’ASEAN ha, infatti, l’obiettivo di perseguire una maggiore integrazione economica, senza però abbracciare una maggiore integrazione politica: la totale autonomia sul fronte della politica interna (anche in casi che noi considereremo estremi, come ad esempio situazioni che riguardano il rispetto dei diritti umani) è un caposaldo dell’approccio dei Paesi del Sud Est Asiatico, tanto da rendere a volte difficoltoso il dialogo con essi.

L’ASEAN quindi, consapevole che non sarà possibile per nessuno nel prossimo futuro ritagliarsi un ruolo di primo piano nello scacchiere globale se non attraverso una sempre maggiore capacità aggregativa, sta percorrendo una strada non banale, ma dal grande potenziale.

Proprio per queste ragioni, la regione sta destando sempre maggiore interessamento da parte degli operatori economici e istituzionali, a partire da quelli europei. L’Unione europea, essa stessa in riposizionamento rispetto al tradizionale alleato nordamericano e in cerca di una nuova e più reciproca cooperazione con la Cina, sta guardando all’ASEAN con sempre maggiore interesse.

I numeri del resto ben corroborano una tale scelta strategica. Il Sud Est Asiatico, infatti, rappresenta un mercato di massimo interesse: i dieci Paesi dell’ASEAN ospitano più di 650 milioni di persone, il 70% dei quali sono in età da lavoro e il 65% delle quali saranno parte della classe media nel 2030 (erano il 29% nel 2010); la loro economia ha raggiungo il valore complessivo di oltre 3.000 miliardi di dollari, numeri che renderebbero l’ASEAN la quinta economia globale, se essa fosse considerata un’unica entità; inoltre questi numeri sono destinati a crescere ulteriormente e rapidamente, poiché le stime dell’OCSE parlano per l’ASEAN di una crescita media superiore al 5% nei prossimi cinque anni.

Da un punto di vista strategico, inoltre, i Paesi ASEAN sono collocati in un’area geografica che li rende centrali.

Per tutte queste ragioni, l’Unione europea sta da tempo tentando di negoziare un accordo comprensivo con l’intera regione ASEAN. Tuttavia, i progressi su questo fronte sono stati lenti e limitati, sia per ragioni economiche sia per la riluttanza da parte dei paesi del Sud Est Asiatico ad avviare una discussione su standard ambientali e sociali, elementi ormai centrali della politica commerciale, e più in generale estera, europea.

Per aggirare l’ostacolo, si è scelto di procedere con accordi bilaterali tra l’Unione europea e i singoli Paesi membri dell’ASEAN. In questi ultimissimi mesi sono così stati conclusi gli accordi con Singapore e Vietnam e stanno procedendo i negoziati con Indonesia e Malesia. Il Consiglio europeo ha poi annunciato la riapertura delle trattative anche con la Tailandia, interrottasi negli anni passati per l’instabilità politica del paese.

L’Unione europea già oggi rappresenta per la regione un partner commerciale di primo piano. Nel 2018 l’interscambio commerciale tra i due blocchi economici ha raggiunto i 237 miliardi di euro, segnando un +33% rispetto al 2013. Un accordo region-to-region fornirebbe un ulteriore impulso alla crescita degli scambi con il Sud Est Asiatico, anche sulla base delle proiezioni sull’impatto degli accordi già chiusi con i singoli Paesi: secondo le stime della Commissiona europea, l’accordo con Singapore permetterà un aumento delle esportazioni europee di 1,4 miliardi di euro l’anno, mentre l’accordo con il Vietnam porterà ad un aumento del 29% delle esportazioni europee da qui al 2035.

Singapore

L’Italia, tuttavia, non sfrutta ancora a pieno la domanda di prodotti e competenze che provengono dalle economie del Sud Est Asiatico: gli scambi con l’ASEAN rappresentano solo l’ 1,7% delle esportazioni e il 2% delle importazioni del nostro Paese, per un interscambio commerciale totale di 16,5 miliardi di euro, quello tedesco, per fare un esempio, vale invece 58 miliardi di euro.

Nei dieci Paesi dell’ASEAN i punti di forza e le opportunità, dal punto di vista delle imprese italiane, superano di gran lunga i rischi e i punti di debolezza. Ma sono ancora troppo poche le aziende italiane che esportano e operano in quei mercati. Lo stesso Governo italiano in più occasione si è espresso sulla volontà di accompagnare le imprese italiane, anche sfruttando le opportunità finanziarie che l’Asian Infrastructure Investment Bank e l’Asia Development Bank mettono a disposizione. I Paesi ASEAN rappresentano, per le aziende italiane, un ambiente giuridico sostanzialmente favorevole in cui operare. Alcuni Paesi ex colonie europee, si basano su un modello di Civil Law, gli altri, a maggioranza musulmana, su un modello Muslim Law, ma con assoluta consuetudine alla cd. “lex mercatoria” internazionale. Tutti hanno una base giuridica “codicistica” che offre garanzie nell’applicazione delle norme e nei possibili contenziosi.

Una maggiore presenza in questi mercati rappresenterebbe allora un investimento importante per il nostro Paese, sia in un’ottica prettamente economica sia in chiave geo-politica. Per ottenere risultati in Asia, però, servo uno sforzo congiunto di imprese e istituzioni, muovendosi come Sistema Paese.

Il peso dell’ASEAN sull’inquinamento del pianeta

Secondo lo studio “River plastic emissions to the world’s oceans” pubblicato su Nature Communications, tra 1,15 e 2,41 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono ogni anno negli oceani trasportati proprio dai fiumi, soprattutto (oltre il 74%) tra maggio e ottobre. Nella classifica dei fiumi più inquinanti, i primi venti si trovano principalmente in Asia e causano il 67% dell’inquinamento marino totale.

Dei 122 fiumi più inquinanti, quelli che contribuiscono per oltre il 90% allo sversamento di plastica in mare, 103 si trovano in Asia, otto in Africa, otto in Sud e Centro America, e uno in Europa. Peggio di tutti fa il fiume Yangtze, in Cina: i campionamenti effettuati alla sua foce hanno rilevato le concentrazioni di plastiche più alte di qualsiasi altro fiume al mondo, 4.137 particelle per metro cubo. Seguono il Gange e altri due fiumi cinesi: Xi e Huangpu.

Yangtze

L’Indonesia è stata uno dei principali contribuenti del continente asiatico, con quattro fiumi giavanesi che destano particolare preoccupazione: il Brantas che trasporta 38.900 tonnellate di plastica l’anno, il Solo che ne trasporta 32.500 l’anno, il Serayu (17.100) e il Progo (12.800).

Il resto dei fiumi nel mondo è responsabile del 14% dell’apporto di plastica: il 7,8% proveniente dall’Africa con 109.200 tonnellate l’anno; il 4,8% dal Sud America con 67.400 tonnellate l’anno; lo 0,95% dall’America Centrale e Settentrionale con 13.400 tonnellate l’anno; lo 0,28% dall’Europa con 3.900 tonnellate l’anno e il restante 0,02% dalla regione Australia-Pacifico con 300 tonnellate l’anno.

Per quanto riguarda l’Europa, il Danubio ogni anno trasporta nel Mar Nero da 530 a 1500 tonnellate di plastica, mentre attraverso il fiume Reno finiscono ogni anno nel Mare del Nord da 20 a 21 tonnellate di plastiche.

In quadro di questo genere si percepisce la reale redistribuzione dei pesi dell’apporto delle attività nocive all’ambiente su vaste aree geofisiche ed è per questa ragione che la Garbage Group sul tema inquinamento sia acquatico che terrestre ha concentrato la sua azione non solo come business, ma anche con la volontà e possibilità di poter dare soluzioni concrete portando il modello italiano ed europeo nei Paesi del Sud Est Asiatico. Un processo che il Gruppo ha già avviato negli anni a cavallo del 2019 – 20 anche sul territorio indiano e russo. Un’attività di sviluppo commerciale che prevede l’inserimento di tutte quelle realtà aziendali italiane o europee di completamento in filiera, utilissime per dare a tutti questi Paesi delle soluzioni concrete al problema ambientale.

I Governi dei Paesi ASEAN investono sulla tutela dell’ambiente

Anche l’Asia sta concentrando molti fondi alcuni con l’Unione Europea, dalle Nazioni Unite, alle banche mondiali destinati all’ambiente dando possibilità ai Governi di poter attrezzarsi a livello strutturale. Per esempio l’ASEAN Catalytic Green Finance Facility, lanciato insieme all’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico: uno strumento finanziario per raccogliere un miliardo di dollari da destinare ad investimenti in infrastrutture verdi nei Paesi dell’area.

Nonostante questo ad oggi le strutture in Asia per la gestione dell’ambiente devono ancora svilupparsi sia sul raccoglimento che sulla valorizzazione dei rifiuti e tutto questo da molto spazio alle aziende che vogliono entrare su questo mercato. Si evidenziano ancora problemi infrastrutturali che mettono in luce come la regione sia ancora ben lontana dal realizzare una strategia efficace sulla questione chiave della sostenibilità ambientale.

La priorità alle esigenze dello sviluppo economico in Paesi emergenti caratterizzati da alti tassi di crescita comporta una corsa all’espansione di ogni tipo di investimenti infrastrutturali, per i quali diventano disponibili volumi crescenti di risorse provenienti da organizzazioni internazionali e dalla rivalità tra Cina e Giappone. Nuove strade e autostrade e alta velocità ferroviaria – con le connessioni nord-sud a guida cinese e quelle est-ovest a prevalenza nipponica – tagliano foreste e incidono su ecosistemi già messi a dura prova.

The flags of ASEAN nations

Tuttavia, come sopra espresso, si va facendo strada anche nella maggior parte dei dieci membri dell’Associazione dei Paesi del Sudest Asiatico la consapevolezza dell’importanza di dare peso – nelle politiche pubbliche come nelle strategie di investimento delle società private – agli standard Esg (Environmental, social, governance).

 

 

 

 

 

 

 

 

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