Mangimi, è record di produzione nel 2021

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Un 2021 da record, con una forte crescita della produzione. La mangimistica italiana fa segnare il secondo aumento di fila dei livelli produttivi che ora superano 15,5 milioni di tonnellate. Lo comunica ASSALZOO – Associazione nazionale tra i Produttori di alimenti zootecnici che ieri ha tenuto la sua assemblea annuale a Bologna. Un risultato che però potrebbe essere vanificato dalle prospettive attuali, con le difficoltà di approvvigionamento di materie prime agricole, le spinte inflazionistiche e i rischi per la redditività della zootecnia.

Al boom del fatturato non corrispondono maggiori margini alle imprese 

Nonostante le difficoltà legate alla pandemia, nel 2021 il settore mangimistico ha toccato una produzione di 15 milioni e 625 mila tonnellate, +3,8% sul 2020. Anche il fatturato ha fatto registrare un considerevole rialzo. Il giro di affari del comparto in Italia sfiora adesso i 9,7 miliardi di euro (+21%) di cui 6,5 miliardi per i mangimi, 1,1 miliardi per le premiscele e 2 miliardi per il pet-food, tutti valori in crescita. A spingere in alto il fatturato è stato, però, soprattutto l’aumento dei prezzi alla produzione, la cui variazione media tra il 2020 e il 2021 è stata di ben il 42%. Quest’impennata si spiega se si considera il forte incremento delle quotazioni delle materie prime per mangimi, cui ha fatto seguito quello di tutti gli altri fattori di produzione, un fenomeno che persiste nel 2022 e che continua a preoccupare tutta la filiera agro-zootecnica.

Il dato relativo al fatturato non è dunque frutto dell’aumento produttivo ma è la conseguenza di una situazione di mercato straordinaria, in cui tutti i costi di produzione del settore hanno fatto segnare picchi mai raggiunti prima. Non si è, pertanto, di fronte a un aumento delle marginalità delle aziende che, al contrario, hanno dovuto comprimere i propri margini, se non proprio azzerarli in molti casi, per compensare il forte aumento del costo dei mangimi, insostenibile per gli allevatori.

Come nel 2020 le imprese hanno contenuto gli acquisti in capitale. Il livello degli investimenti fissi lordi si è ridotto ancora passando da 100 milioni a 90 milioni di euro. Stabile il numero di occupati nel settore: 8300 unità come nell’anno precedente.

Sempre prima l’avicoltura per produzione. In ripresa l’alimentazione per bovini e suini   

Aumenti generalizzati nella produzione di mangimi per quasi tutte le principali specie animali. Nel 2021 è l’alimentazione dei volatili a schiacciare l’acceleratore. L’avicoltura, che rappresenta il 40% del totale della produzione di alimenti per animali, conferma la propria solidità con un livello di output cresciuto del 5% passando da 6.070.000 a 6.372.000 tonnellate. Tutte le singole specie avicole hanno visto crescere il volume: polli da carne (+6,1%), galline ovaiole (+7,1%) e altri volatili (+7,7%), con l’unica eccezione per i tacchini (-3,7%). Il risultato avrebbe potuto essere ancora maggiore se il comparto non avesse dovuto fronteggiare l’influenza aviaria con l’abbattimento di quasi 15 milioni di capi.

Bene anche la produzione per suini e bovini. Nel 2021 la suinicoltura ha intercettato 4,1 milioni di tonnellate di mangimi (+3,1%). Il comparto dei bovini, destinatario di oltre il 23% della produzione totale, registra 3.659.000 tonnellate di mangimi (+3,8%). Nel dettaglio, le vacche da latte vedono il maggior incremento (+3,9%), seguite da bovini da carne (+3,8%) e bufali (+2%).

Dopo due anni di decrescita, torna con il segno positivo l’acquacoltura, con un lieve aumento di +0,8%. Tra gli altri animali prosegue la performance negativa degli equini, a -1,8%. Drastico calo per i conigli: -6,8%. Bene invece gli ovini a +1%. Infine, +3,6% è stato segnato dal pet-food.

Liverini: “Gli aumenti dei costi di produzione mettono a rischio la redditività della zootecnia” 

Nonostante i gravissimi effetti prodotti della crisi pandemica, a cui si è aggiunto il conflitto in Ucraina, l’industria mangimistica italiana conferma dunque il suo ruolo di primo piano nel panorama agro-zootecnico-alimentare. Pur in presenza di enormi difficoltà operative, produttive, economiche, nell’approvvigionamento di materie prime, nella logistica e con costi di produzione fuori controllo, il settore è stato in grado di aumentare i volumi prodotti e di consentire alla zootecnia nazionale di continuare a garantire le sue produzioni e a soddisfare il fabbisogno alimentare del Paese. A dirlo è Michele Liverini, presidente reggente di ASSALZOO – Associazione nazionale tra i Produttori di alimenti zootecnici.

«Gli aumenti dei costi di produzione stanno mettendo a rischio la redditività della zootecnia – spiega Liverini – . Si badi bene, si tratta di una situazione che perdura ormai da troppo tempo e che non può più essere sostenuta dalle aziende mangimistiche, ormai giunte nella condizione di non poter più compensare questi maggiori costi di produzione e pertanto costrette a doverli riversare a valle per non mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza».

Nei mesi scorsi ASSALZOO è più volte intervenuta, nei tavoli istituzionali coordinati dal Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, per evidenziare le criticità del settore, in particolare quelle dei comparti dei bovini da latte e dei suini. «Stanno vivendo una crisi perdurante da troppo tempo, costretti a vendere in molti casi sottocosto latte e carni, con perdite ormai non più sostenibili e il rischio di chiusura di molte stalle», commenta Liverini.

Sempre con riguardo all’aumento incontrollabile dei costi di produzione, ASSALZOO ha sottolineato che, qualora questi maggiori costi non possano trovare una compensazione interna alla filiera, il loro trasferimento al consumatore finale non potrà più essere rinviato. L’Associazione ha chiesto l’inserimento dell’industria mangimistica, unitamente al settore agricolo e allevatoriale, tra le imprese energivore. Tra gli altri temi sollevati, l’importazione di materie prime, le epidemie di influenza aviaria e peste suina e le problematiche legate alla nuova normativa europea in tema di pratiche commerciali sleali, «una normativa – conclude Liverini – pensata per la sua applicazione soprattutto nei rapporti con la GDO, ma che trasferita su tutta la filiera agro-zootecnica-alimentare sta determinando gravi difficoltà sia dal punto di vista operativo sia dal punto di vista interpretativo».

 

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