L’imprenditore, la vera risorsa economica dell’Italia

1384

Nel suo libro \”Il meglio del piccolo\”, Paolo Preti fa della differenza tra le piccole e medie imprese e le grandi la leva per uscire dalla crisi, grazie a un nuovo modello produttivo L’Italia è il paese delle piccole e medie imprese. È il paese delle aziende di nicchia, di prodotti di qualità non facilmente reperibili, frutto di ricerca continua, di specializzazione anche in settori dove contano le economie di scala e di innovazione anche in settori maturi.

Che questa sia la differenza tra l’economia italiana e quella di altri paesi è vero. Che questa differenza si debba considerare un valore e non una maledizione, deve invece essere riconosciuto per il futuro. Un futuro, come suggerisce Paolo Preti, docente di Organizzazione delle piccole e medie imprese in Bocconi, nel suo Il meglio del Piccolo (Egea 2011, 225 pagg, 25 euro), che si costruisce a partire dalla propria differenza, sia buona o cattiva, gestendola al meglio in modo da renderla utile e redditizia.

A chi denuncia i limiti strutturali del fare impresa nel nostro paese, l’autore oppone una visione diametralmente opposta: non debolezza da superare, ma peculiarità da difendere impegnandosi a ridurne gli aspetti negativi e a migliorarne l’efficacia. Si tratta quindi di valorizzare altre caratteristiche delle pmi quali la vocazione imprenditoriale, la proprietà familiare e l’attività prevalentemente manifatturiera. Queste quattro caratteristiche, integrate tra loro, costituiscono un unicum nel panorama economico internazionale per contributo alla crescita del Pil, per capacità di export, per numero di posti lavoro, per numero di imprese.

A fianco delle piccole imprese, non si deve però dimenticare che in Italia operano imprese di medio-grandi dimensioni. Negli ultimi 50 anni, però, si è registrata una riduzione delle aziende con oltre 1.000 dipendenti, mentre le imprese di minori dimensioni sono aumentate sia in termini numerici sia in capacità strategico-organizzative.

Preti racconta, attraverso l’analisi di alcuni esempi eccellenti, come in questi ultimi anni si sia assistito a casi di fecondazione reciproca tra piccola e grande impresa: “La piccola impresa apprende le tecniche gestionali della grande, la grande si ispira alla flessibilità della piccola e tenta di ridurre la burocratizzazione con iniezioni di imprenditorialità a tutti i livelli”.

Grandi imprese che perseguono una politica di quantità convivono con pmi terziste e con piccole o piccolissime imprese che realizzano prodotti di qualità. Per queste ultime poi la possibilità di realizzare accordi internazionali, più o meno strutturali e duraturi, rappresenta l’occasione di aumentare le proprie dimensioni competitive pur non crescendo dimensionalmente.

Storie eccellenti come quella della Silvelox spa (160 dipendenti, un fatturato di 30 milioni grazie a un mix di innovazione italiana, brevetti tedeschi, antica tradizione familiare nella lavorazione del legno), della Thermoplay Spa (esempio di azienda che per dimensione è capace di essere più flessibile rispetto ai concorrenti). O della Carlo Gavazzi, presente in tutto il mondo, che da una strategia di esternalizzazione della produzione oggi rivede criticamente questa decisione.

Nel panorama delle piccole e medie imprese italiane, quelle a carattere familiare sono l’83%. “Anche tra queste permane chi preferisce individuare i punti di debolezza piuttosto che evidenziare le positività”, sottolinea Preti.

“ma”, aggiunge, “non si deve considerare la famiglia un vincolo allo sviluppo dell’impresa, bensì una risorsa per la tenuta complessiva dell’impresa. Le migliori aziende familiari sembrano oggi ricercare il mantenimento di un buon equilibrio tra imprenditorialità e managerialità, tra famiglia e gruppi dirigenziali, tra rapporto diretto con i collaboratori e l’adozione di strumenti analitici di gestione del personale e di governo dell’impresa”.

All’origine di ogni azienda c’è sempre un imprenditore, per il quale l’idea non solo è un’intuizione, ma un’occasione per costruire. L’autore stimola la riflessione sulla capacità di questa speciale categoria di lavoratori di trasformare “il quotidiano in eroico e l’eroico in quotidiano”. Si leggeranno le storie per esempio di Dario Cecchini e della sua antica macelleria, di Vittorio Moretti, presidente della holding Terra Moretti. Storie in cui non tanto emergono insegnamenti di management, ma di dedizione e tenacia nella conduzione dell’azienda. “Di vera e propria vocazione imprenditoriale”, conferma Preti.

Ritornando al concetto di nicchia, l’autore mostra, sorretto da esempi reali di aziende manifatturiere, come in epoca di globalizzazione possa essere una modalità di azione strategica proficua. È il caso delle aziende Nucas, Ma-Fra, Daunenstep spa. O di imprese del settore agroalimentare, il cui successo è spesso legato al radicamento sul territorio.
Paolo Preti è docente di Organizzazione delle piccole e medie imprese presso l’Università Bocconi e professore associato di Organizzazione aziendale presso l’Università della Valle d’Aosta.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here