«La fuga delle società venete? Il delisting è diventato un affare»

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L’abbandono di Benetton vorrà pur dire qualcosa. Quelli di Marzotto, Permasteelisa e Coin vorranno dire qualcosa.
La permanenza di sole 17 società venete sul listino di Piazza Affari – il nulla rispetto alle migliaia di medie imprese industriali e di servizi in questa regione – avrà un suo significato. L’addio di Ponzano appare come il sintomo, l’ennesimo, di un legame spezzato fra mercati finanziari ed economia reale. Se la Borsa ti massacra fino a valutare la società meno degli immobili posseduti (succede per Benetton ma anche per Unicredit) se la quotazione diventa una via costosa e faticosa, in estrema sintesi inefficiente per il reperimento di risorse da destinare alla crescita dell’impresa, allora è il caso di riflettere su un fallimento storico.Oquantomeno di una difficoltà grave.

Secondo Enzo Rullani, economista e docente alla Venice International University, è finita un’antica illusione, quella cioé che «la Borsa avesse in sé un grande futuro, perché la gente in tutto il mondo avrebbe investito lì sempre di più i propri risparmi. Non solo non è stato così, ma è successo il contrario: dopo tutte le batoste prese, i cittadini non ne vogliono sapere». E senza la prospettiva di un valore crescente nel tempo da assicurare alla società e ai risparmiatori, nasce la tentazione contraria: «Le famiglie imprenditoriali che hanno liquidità pensano di investirla all’interno delle proprie società, perché è un affare a questi prezzi e perché, in fondo, si hanno finalmente mani libere, senza la seccatura degli azionisti di minoranza». Rullani pende per la teoria secondo cui le imprese – o meglio, chi le controlla – non sono poi così vittime di una Borsa cattiva, «ma la sfruttano per fare affari.

Il delisting non è che uno dei tanti modi per cercare un guadagno nel momento in cui magari non si trovano altri modi per utilizzare il cash a disposizione». Se perfino i marchi nobili abbandonano il campo, significa che la Borsa è diventata un problema. Fabio Buttignon, che è professore ordinario di finanza aziendale a Padova, non vede nell’addio di Benetton il segno di una malattia generale dai sintomi gravi. «Il delisting è un fenomeno fisiologico ed è assai frequente sulle piazze finanziarie più evolute, come a Londra o a New York. Fa anche bene a chi resta quotato: oggi, per esempio, qualche analista s’è messo a fare l’elenco delle società che a breve potrebbero seguire l’esempio di Benetton. E ciò ha un effetto speculativo, quindi positivo sulle quotazioni, visto che si immagina un premio sul prezzo per l’eventuale Opa finalizzata all’uscita dal listino». Buttignon ammette che stare in Borsa è un esercizio difficile, «perché i mercati pretendono molto. Il problema non è tanto che qualcuno esca, ma che non venga rimpiazzato da nessuno. Questo può suggerirci l’idea che, effettivamente, dal Veneto non emergano nuovi campioni. Però, chissà, li vedremo venir fuori se fra un anno o due la situazione delle Borse sarà diversa».

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