L’Italia è il secondo maggior produttore nel settore della pesca nel Mediterraneo e Mar Nero (dopo la Turchia), con volumi di poco inferiori alle 250mila tonnellate (15% del totale) e un valore di 754 milioni di euro (29% del totale), mentre per i porti del Mediterraneo transita un quinto dei trasporti marittimi mondiali e il 25-30% dei traffici petroliferi. Il solo sistema portuale italiano contribuisce al 2,6% del Pil nazionale con 11mila imprese e 93mila addetti, pur essendo negli ultimi 10 anni sceso dal primo al terzo posto in Europa per import-export. Sono alcuni dei dati che emergono dal Libro bianco italiano Bluemed, presentato al Cnr nel corso del convegno “L’Italia della ricerca per la crescita blu nel Mediterraneo”. L’Europa detiene il 6% della cantieristica navale e il 40% della flotta mondiale; la sua industria marittima nel complesso conta su 300 cantieri e 22 mila produttori.
In Italia si contano 40 mila aziende in 15 regioni, con un fatturato di 15 miliardi di euro e oltre 230mila posti di lavoro. Nel computo dell’economia legata al Mediterraneo rientra anche il settore turistico, in continua ascesa in Italia, dove vale circa il 10% del Pil e il 13% dell’occupazione, con il turismo balneare come prima voce. Il turismo costiero ha un valore di 16,1 miliardi di euro, ed è seguito dai trasporti marittimi e dalla cantieristica navale con 8 miliardi. L’estrazione di petrolio e gas in mare vale 4,4 miliardi, la pesca e l’acquacoltura 3,2 miliardi, le biotecnologie 500 milioni.
La pesca è una attività primaria che nel Mediterraneo accompagna l’uomo dagli albori della civiltà, prima ancora dello sviluppo dell’agricoltura. L’economia ittica vi continua a giocare un importante ruolo socioeconomico. Il distretto della pesca e dell’acquacoltura di qualità, così come il distretto agro-alimentare, ha, quindi, come obiettivo di aumentare la competitività del sistema pesca, attraverso azioni che favoriscano la qualità del prodotto e dei servizi delle P.M.I., sfruttando in maniera sistemica e pianificata la tecnologia a disposizione e implementando il territorio con le necessarie infrastrutture strumentali allo svolgimento dell’attività. Il quadro è piuttosto disomogeneo, da una parte si colloca la pesca dei 6 Stati membri UE (Spagna, Francia, Italia, Grecia, Malta e Cipro), fortemente e giustamente regolamentata; dall’altra la pesca dei paesi nordafricani e della sponda orientale, in crescita, ma che tende a ripetere gli errori fatti dai Paesi già sviluppati, di una pesca non sempre razionale.
L’obiettivo: coniugare la crescita economica con la sostenibilità e la compatibilità ambientale. Per i porti è necessario promuovere la digitalizzazione della catena logistica e innovare la produzione e lo stoccaggio di energia. L’area mediterranea rappresenta una grande opportunità non solo di tipo economico e commerciale, ma anche per una gestione unitaria e sostenibile delle risorse, della politica ambientale e della ricerca.
Riccardo Milani