Covid-19: se mi fido, mi vaccino

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Uno studio condotto dall’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr analizza come la fiducia nelle istituzioni e i canali di informazione incidano sull’intenzione di vaccinarsi. L’indagine è pubblicata sulla rivista Scientific Reports e mette in evidenza un atteggiamento positivo, anche verso i produttori farmaceutici. Si evidenzia una riduzione della propensione alla vaccinazione, pur mantenendo valori sufficienti, negli intervistati con livello di istruzione e reddito più basso

Uno studio condotto da Rino Falcone dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Istc) ha analizzato come l’interazione tra la fiducia nelle istituzioni e nei vaccini COVID-19, i canali di accesso all’informazione specifica, le motivazioni e le convinzioni personali sulla pandemia, abbiano impattato sull’intenzione di vaccinarsi. L’indagine strutturata multiscala, pubblicata sulla rivista Scientific Reports e basata su un modello di tipo socio-cognitivo, mette in evidenza una sostanziale fiducia nelle istituzioni pubbliche nazionali per il 74,5% del campione intervistato (in misura maggiore che per quelle regionali e comunali, attestatesi al 9,3%), nelle autorità di regolamentazione nel 77,5% dei casi (come l’Aifa-Agenzia italiana del farmaco) e nei produttori farmaceutici (83,5%).

“Il nostro obiettivo principale era capire se e in quale misura gli intervistati avrebbero riposto aspettative positive nei vaccini in relazione alle politiche finalizzate alla loro diffusione e al ruolo dei mezzi di comunicazione utilizzati per la circolazione delle informazioni”, spiega Falcone. “Lo studio ha rivelato come la fiducia nelle autorità, nei produttori di vaccini, nelle fonti istituzionali e scientifiche, insieme con gli obiettivi collettivo-sociali e con la dipendenza dai media tradizionali per la raccolta di informazioni – utilizzati come canale preferenziale dal 70,3% degli intervistati – siano stati importanti elementi predittivi e decisivi, in ordine alla volontà di vaccinarsi. Inoltre, è emerso che la forte propensione alla vaccinazione viene meno, ma in forma minoritaria, soltanto negli intervistati con un livello di istruzione e di reddito più basso”.

Lo scenario da considerare, prima della pandemia e che rende ancor più interessante questa ricerca, è quello di un paese che ha consuetudine ad attribuire scarsa fiducia alle autorità politiche ma che conta comunque un basso livello di esitazione vaccinale. “Questa indagine è stata condotta quando l’Italia stava affrontando la terza ondata di pandemia e la campagna vaccinale puntava a raggiungere gli obiettivi prefissati, nonostante che in Europa l’insuccesso del vaccino AstraZeneca PR15 stesse alimentando la diffidenza nei confronti dei vaccini”, conclude Falcone. “Questi risultati possono aiutare le istituzioni nelle compagne di comunicazione e promozione vaccinale. Resta da capire se questa risposta sia esportabile in altri ambiti, nei quali l’azione collettiva è altrettanto urgente, cosicché la difficile situazione che stiamo affrontando sia utile quale lezione per il futuro”.

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