Quasi 3.000 mld euro, il debito è il vero problema dell’Italia

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“È difficile seguire l’ottovolante delle notizie che, tra Nadef, Pnrr, Mes, tassi di interesse, effetti della guerra in Ucraina, questione dei migranti (solo per citare i fatti principali), condizionano la congiuntura che con le sue conseguenze pesa sui cittadini, in particolare i ceti più deboli, e le imprese”. Inizia così la riflessione sulla situazione italiana di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nel nuovo appuntamento con la sua rubrica ‘Crea valore’ con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.
L’occupazione cresce– continua Livolsi- Secondo l’Istat, ad agosto il numero complessivo di coloro che hanno un impiego ha toccato 23,59 milioni ed evidenzia un aumento rispetto al mese di agosto 2022 di oltre mezzo milione di unità. Non solo – altra notizia positiva – la raccolta record del Btp Valore (17,2 miliardi di euro) ha ottenuto un ottimo riscontro tra i risparmiatori retail italiani, aumentandone il peso tra i sottoscrittori del debito pubblico rispetto agli investitori istituzionali stranieri. I mercati, da parte loro, sembrano poi apprezzare le indicazioni della Nadef. Piace la scelta del Governo di costruire la Legge di Bilancio su un deficit aggiuntivo di 15,7 miliardi di euro e con un piano di privatizzazioni e dismissioni pari ad almeno l’1% del Pil (circa 20 miliardi) nell’arco del triennio 2024-2026. Anche sul fronte del Pnrrr la situazione sembra (perlomeno in parte) sboccata. I direttori del Tesoro riuniti nel Comitato economico e finanziario hanno dato il via libera alla terza rata da 18,5 miliardi del Pnrr italiano e tra la terza e la quarta rata, prevista a fine 2023, l’Italia dovrebbe ottenere complessivamente 35 miliardi”.
“All’opposto, sono da registrare segnali negativi- sottolinea Livolsi- Secondo i dati del fabbisogno pubblico emanati dal ministero dell’Economia, nei primi sette mesi dell’anno il disavanzo di cassa del settore statale è di 79 miliardi, circa 45 miliardi in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non solo, la decisione di Eustostat su come contabilizzare il Superbonus arriverà a metà 2024 e ciò potrebbe essere disastroso per i conti pubblici. Si tratta di un passo indietro da parte dell’agenzia di Lussemburgo, che a febbraio riclassificò i credit legati al 110% come spesa pubblica da imputare tutti sul primo anno, ma ora il cambio di paradigma determinato dall’entità dei crediti d’imposta incagliati. Continua anche a crescere lo spread tra Btp e Bund. Al di là di tutto ciò, c’è il vero problema dell’Italia, il nodo di fondo irrisolto. Come è stato ricordato da alcuni osservatori, dai dati della Nadef si deduce che il debito pubblico sta arrivando a quota 3.000 miliardi di euro e il suo costo per lo Stato raddoppierà a oltre cento miliardi l’anno. Così ha risposto in un’intervista al Corriere della Sera Giulio Tremonti: ‘Non c’è un grande complotto, c’è un grande debito. Tra l’altro la guerra per certi versi ha prodotto un effetto di stabilizzazione: dubito che una grande speculazione internazionale sia organizzata contro un Paese occidentale. Anzi, per quanto ne so, lo escluderei’. E ancora: ‘Oggi il problema non è se è alto o basso lo spread, ma il debito. Possiamo pure notare che lo spread, riferito al tasso tedesco, aveva più senso quando la Germania andava bene. Ma il problema resta il monstre del debito italiano'”.
Ecco, “decisive saranno le regole del nuovo patto di Stabilità che Bruxelles sta preparando- scrive ancora Livolsi- Concordo con quanto sostiene Francesco Giavazzi. Se della proposta da un lato è positivo il fatto che ogni Paese dovrebbe proporre un piano di riduzione del debito che lo porti entro quattro o sette anni a un livello del rapporto debito/Pil sostenibile, dall’altro è meno positiva la cosiddetta clausola di salvaguardia – così come richiesta dalla Germania – perché implica il ritorno a una velocità di discesa del debito uguale per tutti e potenzialmente pro-ciclica”.
Intanto che cosa fare concretamente? La soluzione è una. Il rapporto tra debito e Pil diventa sostenibile intervenendo sul secondo fattore. Verso questa prospettiva sembra agire il Mef e il ministro Giancarlo Giorgetti. Cionondimeno qui giocano un ruolo fondamentale le imprese, in particolare le 188mila Pmi Italiane. Queste, non solo esprimono l’ossatura produttiva e occupazionale del Paese, ma costituiscono un volano degli investimenti e dell’innovazione e possono attrarre capitali finanziari esteri e nazionali molto importanti. Servono scelte complessive, da un lato agevolazioni e provvedimenti che aiutino le aziende ad avere forme alternative di accesso al credito e spingano i risparmiatori italiani a investire nelle stesse impese. Dall’altro lato, negoziando più pragmaticamente con Bruxelles per potere utilizzare al meglio i fondi del Pnrr, urgono le grandi riforme strutturali, dalla scuola alla ricerca e all’università, dal fisco alla pubblica amministrazione alla giustizia. Ciò seppure in un contesto di emergenza: dalla guerra in Ucraina al tema dei migranti alla recessione che incombe sulla Germania, all’ affermazione di partiti populisti in Europa, ultima l’elezione alla guida del Paese del filorusso Robert Fico in Slovacchia. Di questi giorni la guerra in Israele, che accentua le incertezze economiche e che potrebbe fare aumentare i prezzi dell’energia” conclude Livolsi.

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