Architetti che parlano ai non architetti: una strategia che paga

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Un\’analisi esplorativa della SDA Bocconi sui primi 100 studi del mondo mostra che i risultati migliori sono quelli di chi riesce a farsi capire dal pubblico. Servizi diversi e concentrazione di settore le altre caratteristiche vincenti.
Gli studi di architettura che sanno farsi capire dal pubblico ottengono i risultati migliori in termini di fatturato e di visibilità; lo stesso non si può dire per gli studi che riescono a farsi capire meglio dagli altri architetti. È, questa, una delle riflessioni proposte da I primi 100 studi di architettura al mondo: risultati di una ricerca esplorativa e temi emergenti, la ricerca della SDA Bocconi condotta da Leonardo Caporarello e Beatrice Manzoni presentata oggi alla presenza di Rem Koolhaas, architetto olandese tra i più affermati al mondo, premio Pritzker per l’architettura e tra le 100 persone più influenti al mondo secondo il Time.

I due autori analizzano i top 100 studi di architettura al mondo secondo la classifica “BD World Architecture 100” e ne misurano la performance economica attraverso il fatturato, la performance simbolica presso la comunità professionale attraverso le citazioni su due riviste internazionali e la performance simbolica presso il pubblico attraverso il numero di risultati di Google. Valutano, inoltre, l’allineamento tra l’immagine che gli studi vogliono dare di se stessi e quella percepita dagli architetti e dal pubblico dei non architetti attraverso un’analisi di contenuto dei company profile degli studi e del linguaggio usato dai due target commentando le immagini delle più conosciute opere realizzate.

Il primo risultato dell’analisi è che la performance economica è positivamente legata alla performance simbolica intesa in particolare come visibilità mediatica. Ma non solo: un buon allineamento tra immagine attesa e immagine percepita presso il pubblico dei non architetti si traduce in risultati economici migliori, mentre non si può dire altrettanto se si osserva l’allineamento con l’immagine percepita dalla comunità degli architetti.

A dimostrazione che la vocazione manageriale e quella creativa sono difficili da conciliare, solo uno studio entra nella top 10 per tutte e tre le performance (fatturato, riconoscimento professionale, visibilità mediatica). Inoltre 66 studi su 100, quando si analizzano i servizi offerti e i company profile, mostrano un orientamento creativo, contro i 12 che presentano un orientamento manageriale e i 9 che possono essere definiti bilanciati. I diversi orientamenti sono stati anche visivamente rappresentati attraverso tag cloud (in figura la tag cloud di tutti i termini utilizzati dai 100 studi nei loro company profile).

Gli studi con i risultati economici migliori sono contraddistinti da maggiori dimensioni in termini di numero di sedi e di personale (e in particolare quello di supporto agli architetti), maggiore numero di progetti realizzati, maggior numero di servizi offerti (soprattutto nelle aree engineering, project management e consulting), maggiore concentrazione settoriale ed età media più elevata.

Dei primi 100 studi al mondo 40 hanno origine in Europa, 37 in America, 16 in Asia e 7 in Oceania e si caratterizzano in media per un’età, dall’anno di fondazione dello studio, di 57 anni, 152 progetti realizzati, 821 persone di staff, di cui 273 architetti, e 84 milioni di euro di fatturato.

La ricerca suggerisce la necessità di una maggiore attenzione agli aspetti manageriali in un settore che, prima della crisi finanziaria, fatturava 530 miliardi di euro a livello globale. L’auspicio vale soprattutto per l’Italia, il secondo paese al mondo per numero di architetti rispetto alla popolazione (dietro al solo Giappone) e il primo in Europa, ma caratterizzato per un approccio piuttosto artigianale. Valgono le stesse considerazioni emerse da questo studio esplorativo per gli architetti e gli studi di architettura italiani? Lo studio proseguirà con l’obiettivo di rispondere a questa domanda

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