Bolzano: Gli albanesi ringraziano “Qui abbiamo trovato lavoro e integrazione

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Farmacisti, imprenditori, orchestrali, sindacalisti, autisti di bus, ristoratori, artigiani, operai… Sono arrivati a Bolzano e hanno trovato una nuova patria, integrazione, e anche la realizzazione professionale. Si è tenuta ieri la festa della comunità albanese altoatesina: circa 7.000 persone integrate da vent’anni e tra i primi a tentare la strada dell’emigrazione in provincia.
Una comunità molto solida, che è riuscita a demolire – con tenacia e lavorando sodo – pregiudizi e ostilità. Un incontro, quello di ieri, per celebrare la ricorrenza dei primi sbarchi, ma anche un’occasione per raccogliere storie personali che hanno dell’incredibile. Moltissimi di loro sono arrivati sui barconi della speranza. Scaricati a migliaia nei porti della Puglia, caricati sui treni con destinazioni che a loro non dicevano niente. Le caserme dismesse dell’Alto Adige o del Piemonte dove venivano alloggiati come profughi. Da lì, per loro, è cominciata una nuova vita.

Besnik Doshiani ricorda con emozione la sua fuga da Tirana: «In 24 ore dopo che mi avevano sparato per eliminarmi. Facevo parte dell’orchesra di Tirana e quando l’amministrazione volle sostituire il nostro teatro con un casinò ci opponemmo strenuamente. Facemmo pure uno sciopero della fame e la popolazione era con noi, a differenza del potere e della mafia. Ho dovuto scappare per la sicurezza della mia famiglia e qui a Bolzano avevo dei parenti. Nel giro di 30 giorni sono passato da musicista di calibro nazionale a piastrellista a Corvara, però ho trovato la pace e in Patria, comunque, la nostra orchestra viene ricordata come eroica: il teatro che abbiamo difeso, infatti, è ancora lì».

Albanese è anche il presidente della Consulta immigrati Artan Mullaymeri: «Sono fiero di far parte di una comunità così integrata. Oggi ci poniamo nuove sfide, ma la dimensione del nostro radicamento la danno un paio di dati: il 22% di noi comincia a comprare casa e il 30% delle seconde generazioni parla tedesco».

Servet Camberaj, dal canto suo, deve ringraziare il fratello «che mi ha spinto a raggiungerlo a Bolzano. In Albania facevo il magazziniere dell’Esercito, qui ho svolto vari lavoro in importanti aziende. È stato un buon consiglio». La celebrazione, però, ha carattere panalbanese con le porte aperte, quindi, anche ai kosovari e macedoni.

«Ci sentiamo parte di questa cultura e comunità – spiega Rifat Bajrami – ma Bolzano ci ha accolto splendidamente. Io facevo l’insegnante alle superiori e avevo letto molto sulla vostra città, il benessere e la cultura. L’ho proprio scelta coscientemente dopo qualche giorno in Puglia».
Opre Oshan, invece, è macedone e gestisce oggi con la moglie il ristorante “Diana” in via Orazio. «Entrambi laureati, siamo scappati dalla guerra. Prima di Bolzano, consigliata da alcuni amici connazionali, abbiamo trascorso 10 anni a Caserta. Da stranieri non si immagina che la differenza tra il Nord e il Sud italiano possa essere così grande, ma qui stiamo benissimo».

Adrian Mezini e Luan Agaj si sono conosciuti nella caserma di Monguelfo «dove ci portavano ultimati i documenti per lo smistamento. Il sogno in Albania si chiama Germania, quindi Bolzano la si raggiunge seguendo quella terra promessa oppure per amicizie o legami familiari. Una volta conosciuto l’Alto Adige, però, difficilmente lo si lascia».

Parole al miele per la realtà provinciale arrivano anche da Fathir Braholli: «C’è chi cerca l’America io l’ho trovata qui. L’Italia e Bolzano mi hanno garantito pace, sicurezza e benessere, logico che ci sia enorme riconoscenza. Sono capoforno alla “Eisenstecken”, diciamo primario del pane, e a questa festa ho fatto venire tutta la famiglia, comprese le bimbe piccole».

Prima della proiezione di un documentario dedicato all’Albania, hanno preso la parola Armand Caku, che oggi è un tecnico dell Röchling di Laives, e Tritan Myftiu, rappresentanti della comunità albanese in Alto Adige. «Questa terra – hanno detto – ci ha accolto e perfettamente integrato. Non possiamo che avere grande rispetto e ringraziare tutti coloro che hanno creduto nella nostra immigrazione. Oggi siamo contenti di essere la comunità più radicata. Ci aspettano, però, nuove sfide come il diritto di voto che è poi il sale delle democrazie europee».

Sentito anche il saluto del sindaco Luigi Spagnolli: «In questo giorni di euforia per il 150esimo dell’unità, in un territorio che non appartenne inizialmente al sacro suolo italiano, non ho sentito nessuno ringraziare l’Italia e Bolzano con lo stesso trasporto fatto trapelare dai nostri concittadini albanesi».

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