Slow: rallentare per vivere meglio

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Essere sensibili alle stagioni, riacquistare la consapevolezza delle distanze, sviluppare una conoscenza dei prodotti e dell\’ambiente nel quale viviamo, cosi\’ Sylvain MenAtrey e StAphane Szerman, nel loro libro per Egea, ci guidano alla scoperta di uno stile di vita a ritmi naturali: da Slow food a Slow sex, da Slow money a Slow turism e Cittaslow a molti altri esempi. La filosofia Slow è “una forma di codice morale a uso del XXI secolo” che difende un valore che attraversa la nostra civiltà sin dalle origini: la moderazione. Nasce dalla consapevolezza di aver ormai superato una soglia in cui l’accelerazione, a lungo considerata come sinonimo di progresso e benessere, diventa tossica, con conseguenze negative sulle nostre condizioni di vita. E trova applicazione in ambiti diversi: dal cibo al denaro, dall’educazione al turismo, dal sesso all’arte. In questi e in molti altri campi d’azione operano associazioni, movimenti, correnti di pensiero classificabili nella galassia Slow.
A guidarci alla scoperta di queste realtà sono Sylvain Menétrey, giornalista di costume e cultura, e Stéphane Szerman, filosofo, psicoterapeuta e coach, in Slow. Rallentare per vivere meglio (Egea 201; 232 pagg.; 16,90 euro).
“Vivere e pensare Slow”, scrivono i due autori, “significa adeguare il proprio stile di vita ai ritmi naturali, essere sensibili alle stagioni, riacquistare la consapevolezza delle distanze, sviluppare una conoscenza dei prodotti e dell’ambiente nel quale viviamo”.
Sembrano, semplicemente, atteggiamenti di buon senso. “Ma non è così. Sono molto di più”, si legge nel saggio introduttivo al libro di Domenico De Masi. “Siamo in presenza di un nuovo paradigma postindustriale, di un nuovo modello di vita, contrapposto a quello industriale della galassia fast che ha dominato per duecento anni, un modello necessario per recuperare il senso delle cose, dei pensieri, dei sentimenti e alimentato dalla cultura della lentezza intesa come atteggiamento dolce verso la vita e i suoi infiniti piaceri”.
In effetti, questi movimenti, così diversi l’uno dall’altro, nascono per reazione. Il primo e più strutturato è Slow Food, un’organizzazione internazionale che riunisce migliaia di membri, fondata alla fine degli anni Ottanta da Carlo Petrini, suo attuale presidente, in contrapposizione allo stile dei fast food allora in voga e alle abitudini alimentari imposte dall’industrializzazione. L’impegno dell’associazione è a difesa dei patrimoni gastronomici differenziati e a sostegno della lentezza e della convivialità contro gli snack e la solitudine dei ristoranti alla McDonald’s, con un’attenzione particolare alla provenienza dei prodotti, al gusto, ai metodi di produzione, alla biodiversità, all’ecologia. Buono, giusto e pulito diventano così i tre criteri che stanno alla base della filosofia di Slow Food, ai quali presto si aggiunge il diritto all’alimentazione per t utti.
Slow Food è anche la stella polare che orienta la nascita e lo sviluppo di altri movimenti che si richiamano al concetto di lentezza, inteso come ricerca di equilibrio. Tra questi c’è Cittaslow, nato anch’esso in Italia, alla fine degli anni Novanta, su iniziativa di alcuni sindaci (Greve in Chianti, Orvieto, Bra, Positano) che volevano applicare i principi Slow ai centri urbani, al fine di rafforzare la democrazia locale, migliorare la qualità della vita degli abitanti e promuovere le proprie peculiarità, anche in questo caso in contrapposizione con la velocità che contraddistingue le metropoli.
Gli altri movimenti Slow sono più recenti e meno strutturati. Si va da Slow Money (il cui obiettivo è di catalizzare investimenti a favore di progetti legati alla produzione alimentare biologica locale e si inserisce nel solco della finanza etica) a Slow Education (nato per incoraggiare un’educazione più personalizzata, che tenga in maggiore considerazione i ritmi e le attitudini di ogni allievo), passando per Slow Turism, Slow Sex, Slow Management, Slow Design, Slow Book, Slow Media e altri ancora.
Sono tutte realtà che si astengono da ogni estremismo, che cercano di convincere con la dolcezza anziché imporre e che ci appaiono comunque piene di buon senso, se non altro perché prima o poi siamo tutti colti dalla nostalgia di un tempo più armonioso.
“Ma”, si chiedono i due autori, “siamo pronti a rallentare, a rinunciare a questa velocità che accusiamo di ogni male, a spegnere tutti questi giocattoli tecnologici che ci accompagnano?”.
Ed è proprio in reazione all’invadenza delle nuove tecnologie che nasce il movimento Slow Communication, al quale è dedicato il contributo conclusivo del libro, scritto dal suo fondatore: Andrea Ferrazzi.
Sylvain Menétrey, è giornalista di costume e cultura. Scrive per diverse testate svizzere e francesi.
Stéphane Szerman, filosofo, psicoterapeuta e coach. Autore di numerosi saggi tra cui L’arte della lentezza.

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