Biodiversità a rischio 2023: Alpi e Mediterraneo osservati speciali

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Il Rapporto 2023 “Biodiversità a rischio” di Legambiente si focalizza sulle due aree dove si concentrano le sfide e le criticità più importanti per centrare gli obiettivi europei e frenare la perdita di biodiversità entro il 2030

Per centrare gli obiettivi europei e frenare la perdita di biodiversità entro il 2030, l’Italia deve accelerare al più presto il passo, attuando azioni concrete non più rimandabili a partire da una Strategia nazionale per la biodiversità al 2030 adeguatamente finanziata e condivisa, nuove aree protette e marine e zone di tutela integrale, interventi per migliorare la tutela, conservazione, gestione e monitoraggio della biodiversità, la convivenza tra animali selvatici e uomo, e ripensare in una chiave sostenibile alcune attività antropiche.

A sottolinearlo è il 16° Rapporto “Biodiversità a rischio” che Legambiente ha pubblicato In occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità (22 maggio 2023) e che si focalizza su Alpi e Mediterraneo, le 2 aree su cui concentrano le sfide e le criticità più importanti da affrontare in termini di gestione e convivenza con la fauna selvatica, ma anche di ripensamento delle attività antropiche, prevedendo interventi concreti che vadano nella giusta direzione per invertire i trend negativi come ci viene chiesto dall’UE e dal mondo.

Sulle Alpi, dove vivono più 13.000mila specie vegetali e 30.000 specie animali, si assiste ad un ritorno dei grandi predatori che all’inizio del secolo scorso erano quasi scomparsi. Orso bruno, lupo e sciacallo dorato sono le specie che in questi anni registrano sull’arco alpino una crescita della popolazione, con la sola eccezione della lince ormai quasi estinta e presente sulle Alpi con pochissimi esemplari in Friuli- Venezia Giulia e Trentino.

La presenza dei grandi predatori sulle Alpi è frutto soprattutto dell’espansione naturale degli areali di distribuzione, delle tante azioni di tutela, gestione, e di reintroduzione nel caso dell’Orso bruno messe in campo in questi anni. Ad oggi sono oltre 900 i lupi stimati su tutto l’arco alpino, circa 100 gli esemplari di orso bruno per arrivare agli oltre 50-80 individui di sciacallo dorato nell’area del Triveneto. Secondo Legambiente, sono numeri più che positivi, ma che devono essere accompagnati sia da un nuovo modello di gestione della biodiversità e di coesistenza con l’uomo anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca accaduti in Trentino con l’orso Jj4 e in Piemonte con i lupi.

Per Legambiente negli ultimi anni la politica, locale soprattutto, ha preferito enfatizzare i pericoli della presenza della fauna selvatica anziché aiutare a costruire un rapporto più adeguato dell’uomo con i grandi carnivori sulla base di protocolli scientifici. A tal riguardo occorre migliorare e approvare in via definitiva il Piano di conservazione e gestione del lupo e rafforzare e prevedere la completa applicazione del PACOBACE (Piano d’azione interregionale per la tutela dell’orso bruno sulle alpi centro-orientali per la tutela dell’orso bruno alpino) per rafforzare il quale Legambiente indica 10 azioni:
1) rimozione delle fonti di cibo di natura antropica e il controllo dell’accesso alle stesse da parte degli animali;
2) azioni di dissuasione verso gli animali confidenti (deterrenti, barriere fisiche ecc);
3) più campagne di informazione e sensibilizzazione tra le comunità locali;
4) più attività di monitoraggio dell’orso;
5) una comunicazione trasparente sui casi problematici,
6) il coinvolgimento della comunità locale nella gestione dei conflitti, suddividendo correttamente le responsabilità;
7) la revisione e il monitoraggio dei piani di gestione dei conflitti;
8) il coinvolgimento dei tecnici e degli esperti della specie nella gestione delle situazioni critiche e nelle decisioni politiche;
9) il coinvolgimento delle istituzioni, delle aree protette e delle associazioni ambientaliste di tutto il territorio alpino nella governance e nelle strategie per la conservazione dell’Orso e rendere operativo il Tavolo Tecnico promosso dal MASE in coerenza di quanto prevede il PACOBACE;
10) il finanziamento e la realizzazione di corridoi faunistici.

Per quanto riguarda invece la lince, occorre favorire la ricolonizzazione dell’areale naturale alpino della specie, attraverso l’informazione e la sensibilizzazione delle popolazioni locali, la coesistenza con la zootecnia e il miglioramento della gestione venatoria degli ungulati. I problemi di conservazione dello sciacallo dorato sono, invece, legati soprattutto alla elevata mortalità stradale, agli abbattimenti illegali, alla dispersione di esche avvelenate, su cui il Paese dovrà al più presto lavorare.

Il decennio 2020-2030 sarà cruciale per la tutela della biodiversità a rischio – ha sottolineato il Presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani – In particolare, il nostro Paese, che in questi anni ha raggiunto risultati positivi nella tutela della natura, rischia di questo passo di restare indietro. Per questo è importante che inverta la tendenza e che sulla scia di quanto fatto in passato dia l’esempio a partire da una strategia nazionale per la biodiversità al 2030, che oggi non è ancora vigente, senza risorse finanziarie e non ancora condivisa con le altre istituzioni nazionali e regionali. Una strategia per la biodiversità che al tempo stesso deve essere accompagnata anche dalle altre strategie nazionali e comunitarie come per i cambiamenti climatici e Farm to Fork per raggiungere gli obiettivi previsti”.

L’altro osservato speciale, il Mediterraneo, considerato un hotspot della biodiversità marina del nostro Pianeta, è anche una delle aree più sensibili alle conseguenze della crisi climatica. Uno Studio del 2019 ha evidenziato che il Mediterraneo si riscalda più velocemente delle altre regioni del pianeta, con un aumento della temperatura fino a 2°C rispetto alla media degli ultimi 35 anni, soprattutto nello Ionio e nella parte sud ovest del bacino.

A minacciare il Mare Magnum è anche l’uso non sostenibile delle risorse naturali, tra cui il sovrasfruttamento delle specie ittiche, lo sviluppo non sostenibile dell’economia blu, le catture accessorie (bycatch), la pesca illegale. Sotto stress in particolare l’Adriatico per gli stock ittici sovrasfruttati e per essere un’area intensamente sfruttata dalla pesca a strascico e dalle reti da posta per via delle sue caratteristiche, con fondali molli e privi di asperità.

A compromettere lo stato di salute del Mediterraneo, anche le specie aliene invasive che ad esempio il granchio blu o il pesce scorpione. L’ISPRA ha stimato che in Italia siano state introdotte oltre 3.500 specie aliene, minacce su cui per Legambiente è fondamentale intervenire.

Per tutelare davvero il Mar Mediterraneo, per Legambiente occorre:
– ridurre la pressione sugli stock ittici e lo sforzo complessivo di pesca;
– garantire la sorveglianza, combattere la pesca di frodo e le pratiche di pesca illegali e contrastare la pesca dilettantistica dove si annida molta illegalità;
– favorire la piccola pesca artigianale e valorizzare le filiere ittiche plastic free e la blu economy in particolare nelle aree marine protette;
– coinvolgere i pescatori nella prevenzione dell’inquinamento e nel recupero della fauna marina in difficoltà.

Per mantenere il Pianeta in equilibrio e proteggere la biodiversità occorre essere più responsabili nell’utilizzo delle risorse naturali, fondamentali per produrre cibo, energia e altri servizi ecosistemici, e poterne fruire per migliorare il nostro benessere – ha spiegato Antonio Nicoletti, Responsabile aree protette e biodiversità di Legambiente – L’Italia non deve perdere più tempo, è il Paese europeo più ricco di biodiversità, e deve riuscire a dare l’esempio diventando un modello. Dall’altro canto deve anche affrontare il grande tema della coesistenza tra uomo e grandi predatori, come l’orso e il lupo, a partire dalle aree più problematiche tra le quali possiamo annoverare il comprensorio alpino. Gli ultimi fatti di cronaca ma anche le proteste che ci sono state lo scorso week-end in Trentino e Piemonte dimostrano che c’è ancora molto da fare.  Deve consolidarsi sempre più l’idea che la gestione di queste specie si deve basare sulla conoscenza scientifica applicata alla conservazione, e contestualmente affrontare anche i temi, ad esempio, della gestione delle attività antropiche a partire dalla fruizione consapevole della natura, della corretta raccolta e gestione dei rifiuti, della sicurezza della viabilità stradale, della gestione preventiva dei possibili conflitti con le attività ed i comportamenti umani e il contrasto del bracconaggio e la persecuzione contro la fauna selvatica, ancora fuori controllo come dimostrano i 9 lupi ed i 4 grifoni avvelenati in Abruzzo”.

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