Si-riparte dalle infrastrutture

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Ad ogni crisi, si riparte puntuali dalle infrastrutture, come vuole ogni buona teoria economica, ma a differenza di quanto succede altrove, nel nostro Paese non c’è mai una strategia specifica. Ecco così che nonostante fondi e finanziamenti, lavori in corso e opere bibliche che non si fermano, puntualmente spuntano qua e là notizie che non hanno mai il dovuto risalto o esempi di strategie di altri Paesi che hanno quasi il sapore di una “dichiarazione di guerra”. Un consiglio per avere qualche spunto di riflessione, ad esempio sui porti, è la lettura del volume edito da Egea, casa editrice della Bocconi di Milano, di un esperto come Sergio Bologna di questioni di merci e sistema marittimo, dal titolo “Le multinazionali del mare”. Certo scoprire che dopo anni e anni di numeri positivi (il periodo 1990-2007 è stato chiamato super cycle per il notevole aumento del volume di traffici – un dato su tutti: nella movimentazione di container si è passati da 25 a 125 milioni di TEU), anche il fulgore dello shipping si sia spento nella crisi, non è consolante. Perché il mondo gira lo stesso ed evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa nelle strategie.
 “Con l’intermodalità, garantita dall’introduzione dell’unità di carico rappresentata dal container – scrive Bologna – l’organizzazione del lavoro portuale tende ad assumere le caratteristiche di un sistema industriale le cui operazioni hanno un ordine sequenziale rigido che ha richiesto il ridisegno del layout della banchina”. Una rivoluzione, l’intermodalità, che tuttavia non è esente da criticità, legate tanto ai vincoli economici e operativi delle navi che all’organizzazione e alla struttura dei terminal. E con il crescere dei numeri, anche le navi sono diventate sempre più grandi, al punto che, come si legge nel libro di Bologna, se si dovesse classificare l’aria come una merce, sarebbe al primo posto tra i beni trasportati dalle navi portacontainer, perché più di 50 milioni di pezzi hanno navigato vuoti, per la crisi di domanda alla quale gli armatori, però, hanno risposto con scelte di investimento per non perdere le quote di mercato, difendendole a costo di rimetterci in termini di redditività.
Altro dato importante per leggere la situazione, soprattutto in Italia: la rivoluzione industriale dei porti legata alle merci. Se è stata vinta la battaglia dell’interfaccia mare/banchina, non si può dire altrettanto di quella porto/hinterland e anzi spesso anche queste forme di porto decentrato di cui si parla molto sono state fatte con scarsi criteri di sistema integrato e con la carenza di organizzazione della pluralità di strutture e infrastrutture ad esso legato.
Si può cominciare da punti diversi, tanto il risultato non cambia: la ristrutturazione dell’offerta a carro singolo delle Ferrovie italiane con l’abolizione di alcuni scali (fino agli attuali 44) per problematiche di diverso livello, da quello strutturale a quello occupazionale e di manutenzione, ad esempio. E se da una parte Trenitalia ha dichiarato che la ristrutturazione rappresenta un miglioramento di efficacia e affidabilità, dall’altra, per alcuni operatori e non solo, sembra proprio che la logistica in Italia abbia “nemici” dichiarati! Perché da noi le merci, mentre si sventolano tutte le opportunità dell’integrazione di mezzi e di trasporto intermodale, possono viaggiare solo su treno completo, servizio destinato ovviamente alle grandi quantità (fino a mille tonnellate), che può contare sulla capillarità di trasporto (i treni completi arrivano su tutti gli scali merci). D’altronde trasformare i traffici a carro singolo in treni completi permette a Trenitalia di abbattere i costi operativi. E’ auspicabile che aggregazioni di più imprese possano organizzarsi per l’allestimento di treni completi multiclienti e da questo punto di vista, Trenitalia si è detta disponibile ad ogni confronto e collaborazione.
Del resto sono state inutili, almeno fin qui, le proteste delle associazioni di operatori ferroviari e intermodali che hanno parlato di un ulteriore declino del trasporto italiano, chiedendo a gran voce l’intervento del governo. Di contro si parla di grandi gruppi che hanno la licenza di operatori ferroviari nel settore merci e tra questi grandi gruppi anche realtà straniere, tedesche soprattutto, che hanno strategie specifiche e hanno colto ovviamente la palla al balzo. Non è un mistero, d’altronde, che la Germania si è fatta beffe della tanto sbandierata definizione di Italia – molo d’Europa, o piattaforma logistica del Mediterraneo: in attesa di quelle strategie italiche che non sono mai arrivate a dare concretezza a tale definizione, ha fatto della propria logistica il terzo datore di lavoro nazionale, con due milioni e mezzo di addetti, sfruttando al contempo… il molo e, con una “invasione” a pettine, i porti di Trieste e di Genova.

We start again from infrastructures
After each crisis, it starts on time from infrastructures, but in our Country there is never a specific strategy. Some reflection was born after the reading of the volume “The multinationals of the sea” written by Sergio Bologna who talks about intermodal as a means in order to transform the organization of the harbour job in a industrial system from a sequential order of the operations and from to the design of the layout of the dock.
A revolution, the intermodal, than however is not free from criticality linked both to the economic and operating binds of the ships and to the organization and the structure of the terminal.
And with growing of the numbers also the ships become larger, also too much after the crisis of the request that has forced more than 50 million ships container truck to sail empty.  The ship owners, have answered with the chooses of investment in order not to lose the market shares, defended them at the cost of replace in terms of profit. If has been gained the battle of sea/dock interface, we can not say similarly for that seaport/hinterland and indeed often these forms of decentralize port have been made with insufficient criteria of integrated system and the insufficiency of organization of the plurality of structures and infrastructures linked to it. Ferrovie dello Stato has started the restructure of the offer for a single wagon with the abolition of some freight depot for structural problems and maintenance.
If Trenitalia asserts that the restructure will improve the reliability of the goods, the Italian logistics does not help us. In our Country the goods can move only on the railway specifically on the full car, reserved only for a great amounts of goods. In spite of intermodal. The protests of the railway and intermodal association workers have been useless they have spoken about a further decline of the Italian transport.
There are great groups, of some foreigners that have the specific licence of railway worker in the field goods and specific productive strategies.

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