Dalla forbice al bisturi

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Gli sprechi della spesa pubblica e le possibilità della spending review? Gli anni passano e il mistero resta. Un ultimo studio a tal proposito è stato fatto da Confcommercio nel quale si evince che rispetto a una spesa complessiva di 176,4 miliardi per ottenere gli attuali beni e servizi pubblici sarebbe possibile un risparmio teorico di 74,1 miliardi e, reinvestendo 51,2 miliardi, si potrebbe comunque ottenere un risparmio di 23 miliardi. La spesa pubblica locale pro-capite in Italia è di 2.963 euro. Una media di 2.993 euro pro-capite per il Centro-Nord e 2.906 per il Centro-Sud. Mediamente, nel Sud si potrebbero risparmiare 1.859 euro a testa per ottenere la stessa quantità e qualità di servizi pubblici attuali, se solo i costi fossero quelli della Lombardia e non quelli effettivamente sostenuti. Per quanto riguarda la qualità dei servizi, la regione che spende meglio è la Lombardia, seguita da Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna; chiudono la classifica Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. Gli eccessi di spesa pubblica locale sono, quindi, particolarmente evidenti nelle regioni a statuto speciale, in quelle del Sud e in quelle più piccole, che a parità di altre condizioni sprecano più di quelle grandi per diseconomie di scala.
A questo quadro ha risposto l’attuale commissario alla spending review Yoram Gutgeld che, ricordiamo, succede a Carlo Cottarelli, che a sua volta aveva occupato il posto ai tanti predecessori, da Piero Giarda a Mario Canzio a Enrico Bondi e, come loro, ha sottolineato come si stia procedendo verso la riduzione della spesa pubblica in maniera piuttosto incisiva.
Bene, questo è lo stato dell’arte. Tuttavia è d’uopo fare una riflessione in questo senso. E già, perché se è verissimo che il sistema Paese ha bisogno di una razionalizzazione della spesa, altrettanto vero è che quest’ottimizzazione deve esser fatta su un quid. Tutti noi ci accorgiamo nel quotidiano di alcune inefficienze più o meno gravi dei servizi pubblici. Questo è innegabile, ma allo stesso tempo dobbiamo tenere a mente che "la via obbligata" è intervenire su una spesa pubblica improduttiva, che presenta, questa sì, ampi margini di riduzione. Quest’operazione non può e non deve essere effettuata mediante tagli lineari, ma in maniera chirurgica.
Diciamo questo poiché da molto tempo ci occupiamo delle questioni concernenti la portualità. Come abbiamo più volte scritto il numero delle Autorità Portuali in Italia sono sicuramente troppe. Una razionalizzazione delle stesse è da più voci richiesta. Le proposte di riforma precedenti il “Piano nazionale della portualità e della logistica” approvato dal CdM del 3 luglio scorso, furono appoggiate e discusse con i precedenti commissari alla spending review. Quella in dibattito oggi è altra cosa. L’augurio è quello che il Governo usi il bisturi per tagliare gli sprechi ritenuti aggredibili. Anche perché il concetto d’improduttività di cui sopra, mal si lega con il port community system nazionale, che com’è noto, conta a livello di cluster più di 16 mila imprese, circa 1 milione addetti e rappresenta il 16,5% di PIL nazionale.
E’ bene quindi che quest’operazione sia ben eseguita, che lasci pochi lividi e minimi segni, non sia mai che il bisturi vada a lesionare qualche arteria, altrimenti si muore dissanguati.

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