Nelle Marche si stima che il 19% del territorio regionale, circa 1.600 chilometri quadrati (Kmq), è a rischio idrogeologico. Secondo le previsioni del Piano stralcio di bacino per l’assesto idrogeologico (Pai – 2004), predisposto dall’amministrazione regionale, 1.400 kmq sono a rischio frane, 190 kmq a esondazioni, 6 kmq a valanghe. Una situazione che ha portato, nel 2007, alla firma di un Protocollo d’intesa con il ministro dell’Ambiente i cui risultati pratici, in termini d’interventi realizzati, sono stati schedati nella pubblicazione “Manutenzione e presidio del territorio montano contro il dissesto idrogeologico: opportunità di valorizzazione e sviluppo nelle aree marginali interne”, presentato oggi nel corso di un incontro con la stampa. Il volume, che, in realtà, è stato detto, “rappresenta anche un manuale delle buone pratiche di conservazione territoriale”, è già stato richiesto dal Ministero e da numerose Regioni. Raccoglie una ventina di investimenti di riqualificazione realizzati in alcuni assi vallivi montani marchigiani cofinanziati dal Ministero dal 2007 al 2014. Riguardano interventi di sistemazione ambientale realizzati lungo corsi d’acqua, da Nord a Sud delle Marche, secondo tecniche innovative e di ingegneria naturalistica, impiegando cooperative e imprese locali. Pur con costi contenuti, hanno dimostrato la loro efficacia nel corso degli eventi alluvionali, di eccezionale entità, che sono succeduti negli ultimi mesi. “L’esperienza, frutto della collaborazione tra enti e privati, sottolinea che un’attenta e costante manutenzione può preservare il territorio da continui dissesti causati sì dagli eventi meteorologici, ma anche e soprattutto da un degenerato rapporto tra uomo e natura – ha affermato l’assessore alla Difesa del Suolo, Paola Giorgi – La strada intrapresa con il Protocollo d’intesa evidenzia come sia possibile stimolare l’intero tessuto sociale ed economico attivando concrete possibilità di occupazione e recuperare le aree marginali interne”. L’assessore ha poi ricordato che i progetti sono stati avviati con la Carta di Fonte Avellana del 1996 . Ma l’attenzione verso il territorio e lo sviluppo dell’entroterra non è mai venuta meno, come dimostra la strategia per le aree interne 2014-2020 (“Le Marche, insieme a Lombardia e Liguria, sono tra le prime Regioni ad avviare il percorso per accedere alle risorse nazionali”, ha detto la Giorgi), i 23 milioni di euro previsti nella programmazione del Por (Programma operativo regionale) recentemente approvato dall’unione europea, gli ulteriori 33 milioni di cofinanziamento assegnati dal ministero grazie ai 10 milioni stanziati dalla Regione nel 2014 contro i dissesti. “Si tratta di risorse che testimoniano l’attenzione verso le politiche policentriche che la Regione Marche persegue per uno sviluppo armonico del proprio territorio”, ha concluso l’assessore. Marcello Principi (segretario generale Autorità bacino regionale), ha ricordato che le mancate manutenzioni sono la causa principale dei dissesti: “Negli ultimi anni le Marche hanno avuto riconosciuti sei stati di emergenza, a testimonianza di un territorio fragile, da salvaguardare con interventi di messa in sicurezza”. Mario Smargiasso (Difesa del suolo) ha sottolineato l’importanza della prevenzione che ha registrato, a partire dal livello nazionale, una diminuzione delle risorse necessarie: “Di conseguenza, anche nelle Marche si è passati, negli anni, dai miliardi di lire alle centinaia di miglia di euro disponibili in bilancio”. La salvaguardia del territorio, ha ricordato Michele Maiani (Uncem Marche), richiede risorse e presenza dell’uomo nell’entroterra: “Dal dopoguerra, le aree interne marchigiane hanno registrato l’esodo, verso la fascia costiera, di 450 mila persone. Una migrazione biblica, i cui effetti oggi si vedono, perché il territorio, non più curato, è divenuto fragile in quanto non si mantiene da solo”. Ma la marginalità, secondo Raffaele Zanoli (Politecnica delle Marche) “è anche un punto di forza. Le aree interne e montane hanno affinato, nei secoli, le loro capacità di resistere alla crisi. Stimolarne l’autosufficienza, creando maggiori opportunità di lavoro, porterà benefici alle stesse zone urbane e costiere, favorendo un riequilibrio economico e ambientale che consente di ammortizzare gli effetti della globalizzazione sui sistemi locali più esposti e fragili”.
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